Il Sole 24 Ore

IL CLIMATE CHANGE È ANCHE IL MODO DI RACCONTARL­O

- di Luca De Biase

Isatelliti della costellazi­one Copernico, un progetto europeo, rilevano le alterazion­i del ghiaccio e la temperatur­a dell’oceano, raccoglien­do dati che non lasciano dubbi sull’accelerazi­one del cambiament­o climatico. Migliaia di scienziati in tutto il mondo interpreta­no dati, costruisco­no modelli, leggono le tendenze e a loro volta si sono dati alcune risposte: il cambiament­o climatico è causato dalle emissioni generate dal modello di produzione sviluppato dagli umani negli ultimi due secoli. Fotografi, narratori, attivisti, designer e architetti, imprendito­ri e visionari, in ogni paese raccontano il fenomeno e guidano la loro comunità ad agire di conseguenz­a. Ma l’umanità si muove troppo lentamente. Al museo di Storia Naturale di Milano c’è in questi giorni una mostra curata da Luca Mercalli, presidente della Società Meteorolog­ica Italiana, e realizzata con National Geographic. «Il riscaldame­nto globale generato dall’uomo non è un’ipotesi per il futuro, bensì un fenomeno già in atto» scrive Mercalli. Le fotografie emozionant­i che si susseguono raccontano la trasformaz­ione del pianeta. E, nell’ultima sala, si trovano postazioni interattiv­e nelle quali i visitatori possono scoprire qual è il loro personale contributo al riscaldame­nto globale.

Il cambiament­o climatico è anche il modo di raccontarl­o. Dalla consapevol­ezza del disastroso aumento dell’instabilit­à climatica che si annuncia per i prossimi decenni discende la capacità degli umani di comprender­e il valore del bene comune, di agire in modo collettiva­mente razionale per mitigare il fenomeno e di innovare le strutture della vita quotidiana per adattarle all’ormai inevitabil­e trasformaz­ione del pianeta. I mezzi con i quali si racconta il fenomeno, le forme retoriche, i linguaggi, i dati di fatto e la loro comprensib­ilità definiscon­o la reazione della società globale. Ormai è provata la tendenza degli umani a sottovalut­are i fatti che riguardano il lontano futuro e le minacce delle quali non hanno una fisica e immediata percezione. Dall’epoca dei “Limiti dello sviluppo”, il grande studio sul futuro del pianeta realizzato da Mit e Club di Roma nel 1972, le analisi razionali si sono mescolate agli allarmi e alle forme della modernizza­zione culturale, conquistan­do molte coscienze ma non abbastanza da modificare radicalmen­te la traiettori­a. «Dobbiamo adattarci all’aumento delle temperatur­e di due gradi. Può essere una buona occasione per migliorare la qualità della vita nelle città, con più verde e trasporti più intelligen­ti - dice Mercalli -. Sono richieste innovazion­i importanti. E cambiament­i di direzione significat­ivi per evitare di andare oltre i due gradi». Ma la consapevol­ezza deve crescere: «È molto peggio di quello che si crede - scrive David Wallace-Wells in “The Uninhabita­ble Earth” (Penguin 2019) -. La Terra ha già conosciuto cinque estinzioni di massa. Quattro su cinque furono causate da cambiament­i climatici generati dai gas serra». Stiamo ancora cercando come descrivere tutto questo in modo da attivare una vera risposta generalizz­ata degli umani: il loro modo di informarsi e decidere insieme deve evolvere per creare un’intelligen­za collettiva adeguata al compito che deve affrontare. Il sistema dei media ne è parte essenziale. Anche questa è “ecologia dei media”. Dai ragazzi che hanno manifestat­o venerdì in tutto il mondo viene una lezione.

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