Leggende di ipnotici fabbricanti di oro
Gustav Meyrink (1868-1932) era convinto che il mondo fosse assurdo e irreale. Scrittore e amante delle leggende, traduttore, non disdegnava l’orrido. Il suo curriculum è popolato da mille interessi: in certi momenti è un banchiere o figura tra i membri fondatori di gruppi teosofici, in altri esperto di occultismo, stregoneria ed esoterismo; di certo frequentò gli ambienti delle sedute spiritiche. Tra l’altro, di lui si registrano molteplici delusioni d’amore: una di esse lo portò quasi al suicidio. Sino al 1891, per sua ammissione, amava soprattutto le donne, gli scacchi e il canottaggio. Qualche storico della letteratura suppose che fosse ebreo, ma la madre lo fece battezzare e fu allevato nella fede protestante; fra l’altro si convertì al buddhismo. Per dirla in breve, Gustav era figlio illegittimo del barone Karl von Varnbüler, un ministro del Württemberg, e dell’attrice Maria Meyer. Dal nome della mamma, che affermava di discendere dai nobili Meyrink. quando si diede alla letteratura ricavò lo pseudonimo con cui lo conosciamo.
Tra i libri di questo scrittore austriaco, che ebbe come patria Praga, quello che lo rese celebre resta Il Golem (1915), dove parla dell’essere antropomorfo testimoniato da leggende ebraiche e folclore medievale. Meyrink lo associa alla magia di un rabbino: tale figura riprende vita grazie allo scambio di un cappello nel Duomo di Praga, dissolvendo il velo che fa da limite tra il mondo reale e quello impalpabile dei sogni. Ora, tradotti e curati da Vittorio Fincati, con un’introduzione di Gianfranco de Turris, vedono la luce per la prima volta in italiano tre racconti di Meyrink dedicati a vicende di alchimisti, riuniti con il titolo Fabbricanti d’oro.
L’enigmatico Sendivogius, tema della prima storia narrata, riporta in scena lo scozzese Alexander Seton, morto nel 1603, la cui arte probabilmente fu usurpata appunto dal polacco Michael Sendivogius (15661636), il quale pare lo abbia conosciuto a Dresda e aiutato a evadere da un carcere. Morto Seton, l’amico avrebbe pubblicato le sue opere con il proprio nome: questa, almeno, è la tesi dello storico dell’ermetismo Lenglet du Fresnoy. Stando ad altri, il Sendivogius fu tentato dal furare i testi dell’alchimista, medium e glottoteta inglese Edward Kelley (1555-1597), il medesimo che Meyrink farà rivivere nel romanzo L’angelo della finestra d’Occidente. Forse però entrambe le ipotesi possono convivere, giacché le vite di cui stiamo parlando sfuggono senza requie ai nostri metodi di ricerca. Nel racconto che si legge in Fabbricanti d’oro, ci si sofferma soprattutto sulla disavventura che il polacco subì nel 1605 nel Württemberg, durante i giorni del conte Federico I.
Per la seconda storia, Laskaris, ci si trasferisce in una farmacia frequentata da iniziati e il racconto è dedicato all’omonimo personaggio giunto da un’isola dell’Egeo, ritenuto da molti in grado di produrre la polvere di proiezione, che distribuiva in piccole dosi. La terza avventura si basa anch’essa su una figura storica, Sehfeld, alchimista che intorno al 1745 si stabilì in una località termale presso Vienna. Arrestato, riuscì a far perdere le proprie tracce; tuttavia ancora molti anni dopo la famiglia che lo aveva ospitato conservava una parte della misteriosa sostanza con cui Sehfeld pretendeva di trasformare i vili metalli in oro.
Non è il caso di entrare nei dettagli o seguire tutte le vicende: l’alchimia narrata da Meyrink non desidera essere un capitolo di storia della scienza. Lo scrittore inseguiva figure fascinose dai contorni indefiniti che hanno saputo incantare, stupire, regalare sogni.