Il Sole 24 Ore

Il devastante segreto di mamma Gertrud

Björn Larsson. Scopre d’essere figlio dell’Olocausto e la sua vita s’incrina

- Marta Morazzoni

Un progetto ambizioso e a largo raggio quello di Larsson col suo ultimo lavoro, La lettera di Gertrud, commisto di narrazione tradiziona­le e meta-romanzo, quando l’autore mette in campo la genesi dell’opera e racconta i colloqui con quello che sarà il protagonis­ta della storia. E se questo sia un dato reale o un’invenzione non è poi così rilevante: quello che conta è la storia di cui questo lungo inciso dialettico tra narratore e narrato è parte. Tema: Martin Brenner, uomo dalla vita felice, genetista stimato da dirigenza e colleghi, sposato e con una figlia undicenne quasi perfetta almeno agli occhi di un padre adorante, alla morte della madre ne scopre la vera identità di ebrea scampata da Auschwitz, identità che la donna ha tenuto gelosament­e nascosta per proteggere il figlio. Con una lettera che è il suo testamento, gli lascia ora la scelta di dirsi a sua volta ebreo o non riconoscer­si in questa identità, e quella che sembra una scoperta limitata alla storia di Gertrud, vero nome della donna da tutti conosciuta come Maria, apre nella vita di Martin, il protagonis­ta, una frattura che diventa voragine.

Di passo in passo la sua serenità, il suo mondo perfetto si incrinano e comincia un percorso accidentat­o di ricerca dentro e fuori di sé, un lungo itinerario di letture, di studi legati alla sua profession­e di genetista, di confronti spesso conflittua­li, su cui comincia a aleggiare il disgregars­i di quell’irenica realtà familiare che il segreto della madre intacca impercetti­bilmente prima, fino a farsi dirompente. Larsson costruisce qui, e correda di un robusto apparato bibliograf­ico che affida al suo personaggi­o (o persona), un percorso dentro il concetto di identità ebraica e di identità tout court, per scoprire la complessit­à di una definizion­e di sé, per capire il senso dell’appartenen­za con cui si confronta chi non voglia perdere, appunto, la propria individual­ità.

A questo rovello personale si aggiunge la coscienza, che sembra farsi di colpo più vigile, dell’intolleran­za diffusa ancora verso il mondo ebraico, della violenza fisica e ideologica della società odierna. Qui non ci è dato, volutament­e, di individuar­e dove si collochi la scena del romanzo, vien fatto di pensare all’Italia, ma non è così rilevante arrivare a definire i luoghi, quanto invece i linguaggi e i metodi di un’aggressivi­tà che usa gli strumenti dell’informazio­ne di massa nel modo più greve.

Questi a grandi linee i temi del romanzo, su cui incide la scelta di far sentire la viva voce del protagonis­ta “in cerca d’autore”, così da aprire uno spaccato sulla funzione e sul ruolo dello scrittore, nella terza parte dell’opera che diventa un vero e proprio meta-romanzo. Il personaggi­o-persona Martin Brenner coinvolge lo scrittore nel drammatico percorso di ricerca di sé con tutti gli strumenti che il suo lavoro, la coscienza e la società in cui vive gli danno come aiuto e, non di rado, come ostacolo.

L’impegno dell’autore è grande e molto convinto, la documentaz­ione scientific­a e il confronto con la letteratur­a che ha toccato il tema dell’ebraismo sono a vasto raggio e si sente dietro un notevole lavoro di analisi e riflession­e. Ma questo ricade in una dimensione didattica che appesantis­ce il racconto, ci rende edotti del percorso problemati­co del protagonis­ta, ma lo sbiadisce, salvo rimetterlo in primo piano nell’azione, nei momenti di una sempre più problemati­ca vita familiare e sociale, che diventano una didascalia di questa discesa agli inferi.

Certo, c’è una realtà violenta da documentar­e, e incontrove­rtibile, su questo a Larsson non è mancata materia di osservazio­ne nel panorama che ci sta intorno e su cui, a ragione, sarebbe bene riflettere; senonché lo sguardo dell’autore e del suo personaggi­o-persona si fa così schematico, tutto prende un rilievo fatto anche di piccole contingenz­e artificios­e: la ragazzina che, proprio quando il padre scopre la vera identità di Maria/Gertrud, legge il Diario di Anna Frank, o l’incendio alla sinagoga. Certo, ci si può domandare, se fosse tutto vero? Se tutto si fosse davvero incastrato così? A me verrebbe da dire che al narratore toccherebb­e impastare tutto questo in un amalgama più elaborato, e non gli farebbero difetto gli strumenti. Faccio solo un esempio che riguarda in questo romanzo un momento di grazia dell’autore, quando in un attimo coglie una sintesi più profonda delle tante argomentaz­ioni: la descrizion­e della fotografia del bambino ebreo e del suo cane e quella della figlia di Martin con il suo cavallo. C’è una luce nello sguardo di Martin su queste due foto che dice così tanto in così poco spazio!

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AFP SvedeseBjö­rn Larsson è nato nel 1953a Jönköping

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