La stagione «populista» di Pio IX
Mastai Ferretti, asceso al soglio pontificio nel giugno 1846 col nome di Pio IX e poi rimastovi a lungo, fino al 1878, rappresenta da sempre un soggetto fra i più frequentati della pubblicistica risorgimentale. Uomo delle grandi speranze nazionali fino al 1848, poi “traditore” del tricolore per aver sottratto il supporto alla coalizione anti-austriaca a guida sabauda, quindi, dal 1849, feroce repressore di patrioti e liberali, fino a divenire, col Sillabo (1864), censore ideologico della modernità, Pio IX parve effettuare un percorso esattamente contrario a quello che – attraverso la rappresentanza, il mercato
e la secolarizzazione – l’Europa andava compiendo.
Questa lettura, entrata poi nella vulgata scolastica, è ora discussa da Ignazio Veca, normalista e ricercatore dotato di grande finezza interpretativa, nel suo Il mito di Pio IX. Storia di un papa liberale e nazionale (Viella), che si dedica, attingendo ad un vasto arsenale di fonti, appunto alla fase ascendente del “papa liberale”, dal 1846 al 1848. Pio IX, durante il biennio 1846-47, consentì un’incredibile trasformazione dell’immagine politica dello Stato pontificio, da un lato attraverso una serie di atti d’inequivocabile forza simbolica l’amnistia per i “politici” incarcerati o mandati in esilio, l’istituzione della guardia civica, la moderata libertà di stampa, la consulta di Stato -, dall’altro utilizzando una relazione diretta con i sudditi, che oggi si definirebbe “populista”. Ciò naturalmente poneva problemi di ricezione del messaggio, che infatti fu, volontariamente o meno, equivocato anzitutto da parte di un notabilato locale (e non solo) desideroso, a sua volta, d’incrociare la “democratizzazione dall’alto”, senza istituzioni rappresentative, di Mastai Ferretti, con una “democratizzazione del basso”, tessuta di manifestazioni, banchetti, sfilate, feste, manifesti e giuramenti, in un crescendo melodrammatico anch’esso privo di obiettivi riformatori precisi.
In fondo la riorganizzazione in senso organicistico della società poteva trovare d’accordo tanto i contro-rivoluzionari quanto i democratici, entrambi alieni da quella che potremmo definire una cultura del conflitto sociale. Veca nota giustamente che il disegno di Pio IX partiva dall’idea che il papato, avvicinandosi alla spinta propulsiva delle nazionalità oppresse, avrebbe potuto recuperare un dialogo fecondo con sudditi e cit
tadini a varie latitudini. Ciò è con
fermato, ad esempio, dalle incisioni del ’48 francese, che ritraggono Pio IX, campione della fraternité,
affiancato da angioletti col berretto frigio. Questa visione umanitaria e spiritualista, sulla base della quale operare una riconquista cattolica delle menti e dei cuori dell’intero popolo europeo, s’infranse nel 1848, ma non perché il papa avesse perduto fiducia nella nazione come motore della storia; piuttosto, per l’impossibilità materiale, per il vicario di Cristo, di partecipare in prima fila ad una guerra, per quanto “giusta” potesse apparire.
Era emersa, inoltre, un’altra contraddizione: concedendo la Costituzione, sulla scorta delle pulsioni dei primi mesi del ’48, egli aveva rotto l’incanto di poter gestire lo spazio pubblico in forme extra-istituzionali, alzando di volta in volta la posta sul terreno della comunicazione diretta e dando vita a un’arena mediatica che, alla bisogna, l’assolutismo avrebbe potuto sempre spegnere. L’esistenza di un parlamento poneva evidentemente altri ordini di problemi. Insomma, la stagione “populista” di Pio IX meritava un’attenta ricerca. Ora l’abbiamo.