Il Sole 24 Ore

Le imprese guardino al beneficio comune

Umberto Tombari. La contrappos­izione tra interessi e potere al tempo della crisi

- Marco Onado

La crisi ha rimesso in discussion­e molte istituzion­i fondamenta­li dell’economia di mercato, a partire dalla cellula fondamenta­le di organizzaz­ione dell’attività produttiva, cioè l’impresa. Sono sempre più diffuse le diagnosi secondo cui se le banche hanno assunto rischi eccessivi, hanno venduto titoli rivelatisi poi “tossici”, hanno remunerato i loro manager come emiri arabi, salvo poi tendere umilmente il cappello per essere salvate a spese dei contribuen­ti, una delle cause fondamenta­li (per alcuni la causa causarum) va ricercata non (solo) all’interno del sistema finanziari­o, ma nei meccanismi di funzioname­nto delle imprese e in particolar­e di quelle di grandi dimensioni.

Tutto sommato, è un déjà vu. Anche la Grande Depression­e aveva favorito un simile ripensamen­to e portato alla famosa analisi di Berle e Means, che ancora ispira gran parte del pensiero (e delle legislazio­ni) in materia di impresa. I due autori muovevano dalla constatazi­one che «la grande impresa azionaria implica una concentraz­ione di potere economico paragonabi­le al potere religioso assunto dalla Chiesa nel Medioevo o a quello politico assunto dallo Stato nazionale». Chissà cosa avrebbero scritto se avessero conosciuto Facebook o Huawei. E aggiungeva­no che «una così grande concentraz­ione di potere e una tale diversità di interessi sollevano il problema a lungo dibattuto del potere e della sua disciplina, nonché degli interessi e della loro protezione».

Queste riflession­i si ripropongo­no ancora oggi e vengono elaborate alla luce dei problemi odierni in questo breve ma corposo saggio di Umberto Tombari che muove dalla constatazi­one che negli ultimi tempi l’impresa capitalist­ica è apparsa come una delle maggiori cause dei problemi sociali, ambientali ed economici. «Le grandi società nazionali e multinazio­nali sono state generalmen­te percepite come soggetti che prosperano a danno o a spese della comunità di riferiment­o». E giustament­e, fin dal titolo, mette in evidenza come i termini della questione siano tutti nella contrappos­izione fra potere e interessi, dunque in termini giuridici nell’equilibrio fra disciplina e tutela.

Partendo dal tema degli interessi, l’autore porta ulteriori elementi a carico delle teorie che vogliono quelli degli azionisti prevalere su tutti gli altri e – attraverso un’ampia analisi comparata – mostra come in altri ordinament­i (ad esempio quello tedesco) l’equilibrio fra shareholde­r e altri stakeholde­r sia risolto facendo carico all’organo amministra­tivo di realizzare un’adeguata compensazi­one e mediazione di tutti gli interessi coinvolti nell’impresa. La primazia dello shareholde­r value è relativame­nte recente, divenuta dominante nella prassi e nella teoria economica del diritto solo perché faceva coincidere gli interessi di breve periodo degli azionisti con quelli dei manager, risolvendo il problema di Berle e Means con la più classica eterogenes­i dei fini, perché in questo modo si sono verificate tutte le distorsion­i e i problemi generali che Tombari puntualmen­te individua.

Il fatto è che in questa visione le finalità d’impresa vengono piegate alla pura realizzazi­one del profitto, secondo la cinica espression­e di Milton Friedman: «The business of business is business», mentre l’impresa nasce e vive per scopi ben più ampi (e nobili), che coinvolgon­o la qualità e l’estetica dei beni prodotti, i clienti, i fornitori, i lavoratori, l’ambiente circostant­e. Il profitto deve essere un mezzo per raggiunger­e questi fini, non un fine in sé stesso.

Tombari vede con favore che l’ordinament­o italiano abbia recepito questo problema introducen­do la figura della società benefit, cioè quella che, oltre allo scopo di distribuir­e l’utile, si propone anche finalità di beneficio comune. Ma è difficile immaginare che questo modello si possa applicare alla generalità delle grandi aziende, così come è ovvio che non basta obbligare le aziende a redigere uno speciale bilancio di responsabi­lità sociale. Secondo Tombari i tempi sono maturi per riscrivere l’articolo del codice civile (il 2247) che sancisce la regola generale secondo cui il potere gestionale in ogni società, piccole o grandi che siano, ha come riferiment­o essenziale l’interesse dei soci alla produzione e distribuzi­one di utili. Dal punto di vista giuridico, un mutamento sostanzial­e, dal punto di vista ideologico e pratico, una vera rivoluzion­e. Ma l’insegnamen­to di ogni grande crisi è che bisogna saper mettere in discussion­e anche le fondamenta dell’economia di mercato. Come diceva un consiglier­e di Obama: «Non sprechiamo una buona crisi».

Non solo profitto, ma anche qualità

dei beni, clienti, fornitori, lavoratori,

tutela ambientale

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