Saper insegnare il diritto
Formazione & norme. È necessario un nuovo paradigma con cui pensare il sapere giuridico e il ruolo stesso del giurista, a partire dalla internazionalizzazione del sistema
Anche di recente si è parlato molto sui giornali e sui media del crollo del numero degli iscritti ai corsi di Giurisprudenza verificatosi negli ultimi anni. In effetti il dato impietoso è che nel decennio 2007-2017 le immatricolazioni si sono ridotte di quasi il 40%, passando da 29mila a 18mila iscritti. Come cause di questo allarmante fenomeno sono stati via via indicati i pesanti effetti della crisi economica sulle famiglie, il già eccessivo numero di avvocati e le difficoltà di una professione che da tale crisi ha subìto un forte impatto, il maggiore appeal dei corsi economici rispetto alla formazione giuridica tradizionale. Di rado però le analisi considerano quello che si può ritenere uno dei “cuori” se non il “cuore” del problema, l’insufficiente attenzione dedicata nel nostro Paese al tema della formazione giuridica e alla necessità di una riforma dei modi con cui, a fronte delle profonde trasformazioni strutturali degli ultimi decenni, è ancora insegnato il diritto. Nonostante il muro di silenzio e di indifferenza da cui spesso è avvolta dai “chierici del diritto”, la questione di ripensarne a fondo l’insegnamento e di sperimentare nuovi metodi formativi è divenuta cruciale e occorre urgentemente prenderne atto.
Lo fa ora in modo eccellente questo volume, nato da un colloquio tenuto all’Istituto di Studi Avanzati di Parigi e curato da un giovane e capace filosofo del diritto, Massimo Vogliotti, che ha riunito, per un’ampia riflessione sui molteplici aspetti del tema, teorici e storici del diritto e giuristi positivi: un’articolata e qualificata rappresentanza di quella comunità scientifica cui si chiede di elaborare un nuovo paradigma con cui pensare e trasmettere il diritto, il sapere giuridico e il ruolo stesso del giurista.
Alcuni contributi di autorevoli studiosi, come François Ost , Jacques Chevalier e Antoine Bailleux, pongono limpidamente le questioni basilari relative all’insegnamento del diritto, in particolare se l’orientamento generale degli studi debba andare nella direzione di una scuola marcatamente professionale, sul modello americano delle Law School, o in quella di una formazione critica e interdisciplinare di tipo universitario, restando quindi nell’ottica più ampia delle
humanities (molti contributi del volume propendono appunto per la figura di un giurista culturalmente attrezzato e dotato di spirito critico e capacità argomentativa). Viene così ben chiarito come l’orientamento prescelto influisca largamente sullo stile dell’insegnamento, sulla maggiore o minore dogmaticità della formazione e sulla maggiore o minore apertura al ragionamento per casi e all’analisi dei problemi di una “law in action” che consideri la regola giuridica come “incarnata”.
Ma di quale diritto stiamo parlando? Non si può analizzare il tema della formazione giuridica senza porre le questioni legate alle trasformazioni profonde della giuridicità, che vive oggi la fase terminale del paradigma normativistico moderno basato sul primato esclusivo dello Stato e sul suo monopolio nel produrre il diritto. Qui l’analisi incisiva di un illustre maestro come Sabino Cassese illumina le trasformazioni che sul piano della forma e del contenuto del diritto sono causate dalla globalizzazione delle fonti, dall’espansionismo della funzione giurisdizionale in tutto il mondo, dalla contemporanea presenza di un livello globale e di un livello nazionale che si influenzano reciprocamente. In breve l’internazionalizzazione del diritto, trattata anche nel saggio di Luc Heuschling, ci pone di fronte al paradosso di una normatività ormai universale che è però ancora priva di un’educazione giuridica universale.
Occorre allora un rinnovamento profondo della pedagogia giuridica. Si possono pure rappresentare impietosamente i molti mali del modello tradizionale di insegnamento e il conseguente stanco disincanto dei docenti che lo perpetuano (come fa Jean Danet per il caso francese). Si può auspicare, sul piano delle competenze di cui dotare gli studenti, la previsione di insegnamenti quali la redazione di atti giuridici, la legistica, la negoziazione, la retorica e la psicologia giuridica. Ma non si può eludere il nodo di fondo, quello di studiare in modo non “nazionalista” un diritto non più solo nazionale, ma sempre più ricco di interdipendenze e in cui le tradizioni singole tendono sempre più ad evolversi e a contaminarsi. Altrimenti l’intensa attività dei giuristi, che sempre più si sviluppa a livello internazionale, rischia di non avere alle spalle una formazione giuridica aperta in senso universale.
Tutte queste riflessioni chiamano in causa l’identità dei giuristi, la funzione di tutti gli attori partecipanti alla produzione del diritto e il bisogno di un cambio di mentalità. Anche nel sapere giuridico la dialettica tra “territorializzazione” e “deterritorializzazione” del diritto resta delicata e complessa. Ma la presa d’atto della circostanza che oggi il diritto è prodotto tanto dalla regola quanto dal caso non può limitarsi al piano del ragionamento giuridico, ma deve investire il metodo di insegnamento: non solo categorie giuridiche intese come dogmi universali fuori del tempo, ma anche un sapere consapevole degli strumenti di ragionamento e argomentazione e dell’opinabilità di molte scelte giuridiche. Il rapporto tra una rinnovata formazione giuridica e lo strutturarsi di nuovi paradigmi nella comunità scientifica è senza dubbio stretto, come ben mostra questo volume: e però non si sviluppa per forza secondo una logica causa-effetto, ma secondo dinamiche più complesse. È evidente che un nuovo modello formativo non può affermarsi senza l’abbandono del paradigma tradizionale della modernità giuridica, ma è altrettanto chiaro che un più forte impegno sul piano dell’educazione giuridica può favorire la tendenza dei giuristi a dotarsi di nuovi, più credibili strumenti per rappresentare le profondissime mutazioni in atto nei sistemi giuridici contemporanei.
Il paradosso di una normatività globale
ancora priva di una educazione giuridica universale