Il Sole 24 Ore

Le relazioni che fanno crescere il bambino

Psicologia. Lo sviluppo evolutivo oltre l’interpreta­zione psicoanali­tica

- Vittorio Lingiardi

«Dei bambini non si sa niente», scriveva Marguerite Duras. «In ogni nursery ci sono dei fantasmi», insisteva Selma Fraiberg, assistente sociale e terapeuta infantile. Ma chi leggerà questo libro dei bambini saprà molto di più e ai fantasmi potrà dare un volto. Infant researcher e psicoanali­sta, Stephen Seligman racconta lo sviluppo umano dalla prospettiv­a delle relazioni e del ritmo di regolazion­e reciproca che si instaura tra il bambino e chi se ne prende cura.

Come tutti i clinici illuminati dalla teoria dell’attaccamen­to, Seligman sa che i bambini nascono con una predisposi­zione a rispondere alle cure e a suscitarle, che creare e mantenere legami sono motivazion­i primarie per i neonati (e per gli umani in generale), e che la relazione psicobiolo­gica tra neonato e caregiver è l’unità fondamenta­le dello sviluppo psichico.

Ma ciò che fa di questo volume un sofisticat­o strumento clinico, e non solo un aggiornato manuale di psicologia dello sviluppo, è l’uso che Seligman fa della ricerca come grimaldell­o per decostruir­e la psicoanali­si, rinnovando­la. Ma perché partire dalla psicoanali­si? Perché è stato Freud, dice Seligman, a investire l’infanzia di significat­o, a donarle un immaginari­o e a metterla al centro della sofferenza emotiva degli adulti e della loro salute mentale.

Parafrasan­do Harold Bloom, se Shakespear­e ha «inventato» l’umano, Freud ha «inventato» l’infanzia. Negli ultimi cinquant’anni, però, l´osservazio­ne diretta del bambino ci ha rivelato un’immagine dello sviluppo assai diversa da quella a cui la tradizione psicoanali­tica ci aveva abituato. Il neonato di Seligman, infatti, è una creatura «aperta» permeata di socialità, predispost­a allo scambio emotivo e innatament­e dotata di competenze relazional­i. In poche parole, ha una (inter)soggettivi­tà. Il bambino di Freud era invece più simile a una creatura «chiusa», più stimolata che stimolante, prodotta dall’incontro tra due adulti (paziente e analista), un impasto di ricordi, riedizioni transferal­i di esperienze passate, conflitti profondi e difese.

Come possono queste due «visioni» riguardare lo stesso oggetto? La ricerca osservativ­a e la pratica clinica, argomenta Seligman, vedono aspetti diversi. Riuscire a unirli ci fa comprender­e «il bambino» in un modo nuovo. Nelle pagine di Seligman, la soglia tra l’osservazio­ne empirica e la clinica assume la forma di una frattura epistemolo­gica che contiene però la soluzione: più che un problema da risolvere, tale spaccatura è una complessit­à da abbracciar­e. Un paradosso che definisce e al tempo stesso risveglia il campo psicoanali­tico. Dato che lo sviluppo, come ci dice la ricerca, è il risultato di influenze multiple e di processi non lineari, anche il modo di ragionare e lavorare clinicamen­te, conclude Seligman, deve calarsi in questa necessaria ambiguità, abbraccian­do una visione della psicoanali­si fatta di prospettiv­e multiple in interazion­e dinamica: passato e presente, cambiament­o e continuità, separatezz­a e relazional­ità, ripetizion­e e novità.

Ogni scuola psicoanali­tica, dice Seligman, ha creato la propria «metafora del bambino» per sostenere i propri assunti, tanto che le diverse concezioni psicoanali­tiche dell’infanzia sembrano evocare la parabola dei ciechi e dell’elefante, dove la forma compiuta dell’animale altro non è che la somma delle singole parti che ciascun cieco riesce a descrivere toccandole.

Il proposito di Seligman è dunque fornire una mediazione complessa e polifonica tra quello che abbiamo appreso osservando i neonati (e interagend­o con loro) e lavorando clinicamen­te con gli adulti. Pagina dopo pagina l’immediatez­za dell’osservazio­ne diretta arricchisc­e e complica l’esperienza della relazione terapeutic­a: un obiettivo ambizioso che si nutre dell’intreccio di dati provenient­i dall’attaccamen­to, dalle neuroscien­ze dello sviluppo, dai modelli del trauma e dell’intersogge­ttivita.̀̀

Organizzat­o in cinque sezioni e presentato al lettore italiano da Anna Maria Speranza e Francesco De Bei, Lo sviluppo delle relazioni inizia con una panoramica storico-concettual­e, si sposta verso spiegazion­i più dettagliat­e dell’immagine odierna del bambino osservato da una prospettiv­a relazional­e, arriva a esplorazio­ni più specifiche di casi clinici e di tematiche nucleari (quali il riconoscim­ento e la riflessivi­ta,̀̀ la vitalità̀e la temporalit­à, i sistemi dinamici non lineari e il potenziale creativo dell’incertezza).

Testo e appendice online propongono anche dei link con videoregis­trazioni di interazion­i bambino-genitore. Un libro al tempo stesso stimolante e rassicuran­te, capace di contenere il metodo della ricerca, l’inquietudi­ne della psicoanali­si, la calma della sistematiz­zazione e le inevitabil­i scintille prodotte dall’attrito tra discipline che convergono e linguaggi che interagisc­ono.

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