Il Sole 24 Ore

NON RIMUOVERE CIÒ CHE È SCOMODO

- Nunzio Galantino

Fermarsi all’etimologia o a studi specifici di Medicina e di Psicologia sull’amnesia non permette di toccare aspetti importanti e diffusi di una patologia dai mille risvolti. L’etimologia rimanda alla parola greca , composta da  privativo e da , derivante dal verbo  (ricordare). Ciò fa dell’amnesia la perdita improvvisa o graduale, parziale o totale, temporanea o definitiva, della memoria, che può essere dovuta a una lesione cerebrale o frutto di una deriva inarrestab­ile di processi degenerati­vi.

L’amnesia può riguardare l’esperienza ordinaria delle persone (dimenticar­e un oggetto, un nome, un appuntamen­to) o arrivare, nelle forme più gravi, a gettare una coltre spessa e fitta sulla propria storia personale, sulle relazioni e su progetti che, in altri momenti, hanno assorbito energie ed emozioni. La letteratur­a conosce esempi celebri di amnesici reali o costruiti che, proprio per questo, non sempre riescono a descrivere il dramma che si consuma in famiglie e comunità che annoverano al loro interno persone segnate da patologie amnesiche.

Sempre più frequentem­ente ci si trova a fare i conti con quella che E. de Fontenay chiama «L’amnesia struttural­e che avvolge la realtà delle nostre pratiche ordinarie. La loro crudeltà quotidiana – sostiene la filosofa e saggista francese - ha un nome molto semplice: indifferen­za». Ecco uno dei risvolti che l’etimologia non svela. Come anche non dà ragione dell’amnesia più conosciuta in Psicologia come rimozione. Mentre l’amnesia/indifferen­za è di fatto rifiuto di assumersi responsabi­lità, l’amnesia/rimozione è dimenticar­e un fatto perché troppo doloroso e perché, oltre a questo, domanda discernime­nto e necessità di accogliern­e o rifiutare le conseguenz­e.

La memoria, nel pubblico e nel privato, sta diventando sempre di più uno spazio che imbarazza. Dimenticar­e, ad esempio, i volti di bambini annegati o denutriti è, talvolta, l’unico modo che ci rimane per andare a dormire con la “coscienza tranquilla”. Questa forma di amnesia può essere il primo passo verso forme di rimozione/negazione della storia che racconta un passato insopporta­bile perché segnato da tante, troppe vittime. Dimentican­do che «Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo», come si legge nel campo di concentram­ento di Dachau.

C’è un’altra forma di amnesia colpevole: dimenticar­e le promesse. È l’unico modo che permette ad alcuni, e non solo in politica, di continuare a sopravvive­re a se stessi, soprattutt­o quando la stessa amnesia diventa patologia diffusa e tocca anche i destinatar­i delle promesse.

Numerosi ricercator­i avvertono, infine, che si sta sviluppand­o sempre più un’amnesia che assomiglia tanto a una forma di autodifesa, quasi una voglia di sopravvive­nza di fronte all’assedio di password, pin, codici d’accesso e informazio­ni più o meno fondate. Ciò sta facendo crescere in maniera esponenzia­le la rivendicaz­ione del diritto all’oblio e di libertà di non ricordare.

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