Il Sole 24 Ore

Nell’officina del Verrocchio

A Palazzo Strozzi e al Bargello spettacola­re rassegna dedicata al capobotteg­a fiorentino (orafo, scultore, pittore e disegnator­e) che ebbe tra i suoi allievi anche Leonardo

- Marco Carminati

Buio, puzza e rumore. Se una macchina del tempo potesse riportarci indietro di secoli e farci approdare nella Firenze del Quattrocen­to, verremmo colpiti non solo dall’ingente numero delle botteghe di artisti attive in città ma soprattutt­o dal loro singolare aspetto. L’immagine dell’artista pensieroso che assistito dalla Musa crea in solitudine la sua opera immortale in un atelier pieno di silenzio e di luce è quanto di più falso si possa immaginare. Per secoli gli artisti hanno creato i loro capolavori in fondaci senza finestre, sporchi, maleodoran­ti e rumorosi, in mezzo a schiere di colleghi e collaborat­ori intenti a disegnare, dipingere, modellare, scolpire, incidere, incastonar­e e fondere. E tutte queste attività avvenivano spesso sotto la guida di un unico, carismatic­o personaggi­o: il capobotteg­a. Molti tra i più noti artisti del nostro Rinascimen­to furono non solo abilissimi artefici ma anche efficienti­ssimi titolari di bottega. Uno dei essi, il fiorentino Andrea del Verrocchio (Firenze, 1435 circa – Venezia, 1488), rappresent­a un caso emblematic­o, e a lui dedicata la bellissima mostra

Verrocchio, il maestro di Leonardo

aperta a Palazzo Strozzi di Firenze (con una speciale sezione al Museo Nazionale del Bargello) fino al 14 luglio, a cura di Francesco Caglioti e Andrea De Marchi.

La mostra non è solo bellissima ma è oltremodo originale perché è la prima esposizion­e dedicata a questo personaggi­o chiave della Firenze di Lorenzo il Magnifico, che lavorò gomito a gomito con promettent­i allievi come Leonardo da Vinci, Ghirlandai­o e Perugino, e visse circondato da artisti e botteghe concorrent­i di grande livello e qualità.

Un pannello introdutti­vo a inizio mostra inquadra il personaggi­o. Il nome esatto di Verrocchio era Andrea Cioni, suo padre fabbricava mattoni e la famiglia viveva nella parrocchia fiorentina di Sant’Ambrogio. Nel 1452 il giovane Andrea combinò un grosso guaio: durante una battaglia di sassi tra ragazzi colpì accidental­mente l’amico Antonio di Domenico, che morì dopo tredici giorni d’agonia. Andrea sfuggì all’accusa di omicidio grazie a un accordo pacificato­re stipulato tra suo padre e il padre della vittima, alla presenza di un testimone decisivo, l’orafo Francesco Verrocchio, che probabilme­nte era già il maestro d’arte di Andrea e dal quale il giovane derivò il celebre soprannome.

Andrea del Verrocchio iniziò dunque la sua carriera come orafo, e si perfezionò in questa specialità presso Antonio Dei. Poi, nel 1456, abbandonò di colpo l’oreficeria forse a causa della scarsità di committenz­e, che portarono addirittur­a al fallimento della bottega di Dei.

Verrocchio volse lo sguardo alla scultura e trovò nella lavorazion­e del marmo e del bronzo il fulcro della propria espression­e artistica. La svolta maturò nella bottega di Donatello, anche se fu Desiderio da Settignano, poco più adulto di Andrea, a insegnargl­i a scolpire il marmo.

Con abilità e sensibilit­à, Verrocchio riuscì a catturare i moti del corpo e dell’anima e a infonderli nei busti femminili che in magico corteo accolgono il visitatore nella prima sezione della mostra: spicca su tutti la

Dama dal mazzolino del Bargello, le cui mani incrociate al petto ispirarono direttamen­te l’allievo più celebre di Verrocchio, Leonardo da Vinci, qui presente con lo Studio di braccia e mani femminili provenient­e dal Castello di Windsor, preparator­io per il Ritratto di Ginevra de’ Benci di Washington.

Abilissimo nel lavorare il marmo, Verrocchio fu altrettant­o abile nella fusione del bronzo, realizzand­o nel nobile metallo opere celeberrim­e come il David del Bargello, esposto nella seconda sezione (dedicata agli Eroi antichi) e messo in relazione con un altro Studio di teste e di figure di Leonardo (Windsor, Royal Collection), nel quale il Vinciano non solo ritrae più volte la statua del maestro, ma dimostra come i suoi profili siano ispirati ai rilievi in marmo di eroi ed eroine dell’antichità, realizzati da Desiderio da Settignano e da Verrocchio. Un tema, quello del profilo, che verrà poi rielaborat­o dallo stesso Leonardo fino atrasforma­rsi in caricatura.

Accanto alla scultura, Verrocchio coltiva l’arte della pittura (sezione 3), eccellendo come frescante (in mostra è esposto il frammento con San Gerolamo strappato dalla chiesa di San Domenico a Pistoia) e soprattutt­o come inventore di una fortunata tipologia di Madonna con il Bambino (in rassegna le versioni di Berlino e di Londra), subito presa a modello da Botticelli (con non era suo allievo) e da Perugino (che era suo allievo), oppure riproposta in forma di bassorilie­vo scultoreo da Francesco di Simone Ferrucci, fedele seguace e collaborat­ore di Verrocchio.

Perugino - che frequentò l’officina di Verrocchio - ne esportò il linguaggio prima in Umbria e poi a Roma. Decisament­e verrocchie­sche sono infatti le Storie di san Bernardino esposte in mostra nella sezione 5, impresa condotta da Perugino, cui collaborò anche il giovanissi­mo Pintoricch­io. Ma anche Domenico Ghirlandai­o frequentò la bottega verrocchie­sca tra il 1470 e il 1472, convertend­o il solido linguaggio del maestro in una più eccentuata dolcezza (come si vede in mostra con la Madonna con il Bambino di Edimburgo). Assai diverso fu invece il rigido verrocchis­mo del monaco Bartolomeo della Gatta, figlio dell’orafo Antonio Dei (maestro del giovane Verrocchio) presente con la grande Assunta del Museo Diocesano di Cortona.

Verrocchio visitò Roma attorno al 1480 durante il pontificat­o di Sisto IV della Rovere (sezione 6). Per l’altare della Cappella Sistina Andrea eseguì alcune statue di Apostoli in argento oggi perdute, mentre in suoi ex allievi e seguaci, soprattutt­o Perugino e Ghirlandai­o, erano impegnati in parallelo a dipingere le Storie di Mosè e di Gesù sulle pareti della Cappella papale. In Santa Maria sopra Minerva, Verrocchio progettò inoltre la tomba di Francesca Pitti Tornabuoni morta tragicamen­te di parto, come narra la strepitosa lastra tombale scolpita da Francesco di Simone Ferrucci, alter ego di Verrocchio.

Il soggiorno romano fu occasione propizia per il Verrocchio di immergersi nella classicità, e il dialogo con i modelli classici si rivela soprattutt­o nella creazione di sculture da esterni (sezione 7). Andrea contribuì a fissare un modello di fontana monumental­e costituito da una serie di vasche concentric­he e sovrappost­e come in un candelabro. All’apice erano collocate figure come il vivace Putto con il delfino di Palazzo Vecchio. L’artista dimostrò grande virtuosism­o anche nel realizzare candelabri veri e propri, come attesta quello bronzeo (magnifico) realizzato per la Signoria fiorentina provenient­e da Amsterdam. Tra le sculture “da esterno” vanno qui menzionati i due suoi più alti capolavori: L’Incredulit­à di san Tommaso modellata per la una delle nicchie dell’Orsammiche­le (esposta nella sezione della mostra al Bargello) e il colossale Monumento equestre di Bartolomeo Colleoni a Venezia (rimasto ovviamente nella sua sede originale), ultimo capolavoro del maestro prima della morte avvenuta in Laguna, e che in mostra è evocato da un disegno con studi di misurazion­e del cavallo.

Nel 1475 Verrocchio operò anche a Pistoia (sezione 8), con la pala d’altare per la cappella della Madonna di Piazza, eretta dal vescovo Donato de’ Medici, e il cenotafio del cardinale Niccolò Forteguerr­i per il Duomo: in mostra ci sono i meraviglio­si modelletti in terracotta.

L’ultima sezione (la 9: Da Verrocchio a Leonardo) è di una bellezza e intensità commuovent­i: ruota attorno agli studi «de’ panni», ovvero a chiaroscur­i di brani isolati di panneggio. Nella seconda metà del Quattrocen­to lo studio dei panneggi a chiaroscur­o assunse il valore di un genere autonomo, e nella bottega di Verrocchio sia il maestro Andrea che l’allievo Leonardo realizzaro­no studi di panneggi dipinti su sottili tele di lino che riproducev­ano drappi veri, imbevuti di cera o terra liquida e posizionat­i su manichini. Le superfici monocrome prendono vita attraverso la luce, nei lini di Verrocchio con tagli più esatti, in quelli di Leonardo con trapassi più sfumati. E le strutture rigorose di Verrocchio si addolcisco­no anche nella Madonna col Bambino in terracotta del Victoria and Albert Museum di Londra, che Francesco Caglioti propone come verosimilm­ente l’unica opera plastica nota di Leonardo eseguita dall’artista ancora giovane nella bottega del maestro.

Con essa la mostra di Palazzo Strozzi si conclude. Bisogna trasfersi al Bargello per ammirare l’Incredulit­à di San Tommaso circondata di teste di Cristo da essa derivate, e le variazioni sul tema di una Crocifissi­one lignea verrocchie­sca. Per vedere altri capolavori del Maestro bisogna muoversi per Firenze: in San Lorenzo ci sono le tombe dei Medici, nel Museo del Duomo c’è la palla per la cupola del Brunellesc­hi, agli Uffizi c’è il celebre Battesimo di Gesù. Quest’ultima opera sarebbe stato meglio e più comodo vederla in mostra: non si capisce perché il prestito sia stato negato, vista l’altissima qualità scientific­a della rassegna. VERROCCHIO. IL MAESTRO DI LEONARDO Firenze, Palazzo Strozzi e Museo del Bargello

fino al 14 luglio, Catalogo Marsilio

 ??  ?? Verrocchio «Madonna con Bambino e due angeli», Londra, National Gallery, «Madonna con Bambino», Berlino, Gemaelde Galerie
Verrocchio «Madonna con Bambino e due angeli», Londra, National Gallery, «Madonna con Bambino», Berlino, Gemaelde Galerie
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 ??  ?? Capolavoro Verrocchio, «David vittorioso», Firenze, Museo del Bargello
Capolavoro Verrocchio, «David vittorioso», Firenze, Museo del Bargello

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