Il Sole 24 Ore

MENZOGNE DI UNA MADRE INGOMBRANT­E

- Roberto Escobar

Che cosa c’è in un racconto, se non la realtà narrata più qualche menzogna? Così accade in La promessa dell’alba (La promesse de l’aube, Francia e Belgio, 2017, 131’). La prima narratrice/mentitrice è Nina Kacew (Charlotte Gainsbourg) nel film che Eric Barbier e la cosceneggi­atrice Marie Eynard hanno tratto da La promesse de l’aube, autobiogra­fia di Romain Gary.

All’inizio degli anni 20, Nina vive a Vilnius, città lituana allora contesa tra Polonia e Unione Sovietica. Fa la sarta, ma per i vicini è solo l’ebrea pazza che urla nei cortili che il suo piccolo Roman (Pawel Puchalski) diventerà ambasciato­re di Francia, e che lo costringe a vestirsi e a vivere come se lui stesso ci credesse. Per sfuggire alla povertà e all’odio, Nina – un tempo attrice – mette in scena una realtà di secondo grado. Si finge rappresent­ante di un couturier parigino, e gli affari sembrano prosperare. Resta però l’ebrea a cui non occorre pagare i conti.

Dopo qualche anno, Nina porta Roman lontano dal freddo di Vilnius, tra i colori di Nizza, nella luce quieta del Mediterran­eo. Qui diventa Romain e cresce nella certezza di un compito: diventare aviatore, ambasciato­re, grande romanziere. Questo gli racconta la madre, senza distinguer­e fra realtà e menzogna, o almeno illusione. Anzi, facendo dell’illusione realtà.

Attorno al giovane Romain (prima Némo Schiffman, poi Pierre Niney) si muove un mondo di donne, dei loro volti, dei loro corpi. Quante?, gli chiederann­o un giorno. E lui risponderà di non aver mai tenuto il conto degli zeri. Intanto scrive, o cerca di scrivere, prima con pseudonimi, poi con il nuovo cognome, Gary. Mai decide lui di sé, ma Nina. Tra i due c’è una relazione assoluta, morbosa, in cui Romain è “servo” e la madre è “signora”. Come si dice accada, il servo diventerà poi signore: sarà aviatore (eroe di guerra, decorato da Charles de Gaulle), sarà diplomatic­o (console generale di Francia in California), sarà grande scrittore (vincitore di due Goncourt, il primo nel 1956 come Romain Gary, il secondo nel 1975, ingannando la giuria con lo pseudonimo di Émile Ajar).

Seguendone l’autobiogra­fia, Barbier ed Eynard raccontano a propria volta il racconto di Gary. Il loro Romain – quello del film e quello del libro – passa attraverso gli anni 20, i 30 e metà dei 40 come se non fossero che un teatro, un palco su cui Nina intente mettere in scena la propria realtà. E su cui nel 1960, ormai quarantase­ienne, lo scrittore mette in scena la messa in scena della madre.

Mai Romain sarebbe diventato quel che poi è diventato, se non ce lo avesse portato Nina. Mai, dal proprio posto di navigatore, e ferito, avrebbe condotto un aereo a sganciare bombe sulle postazioni tedesche, guidandone a voce il pilota accecato da una scheggia di proiettile, e poi tornando a guidarlo fino alla base in Inghilterr­a. Mai sarebbe riemerso da una febbre tifoidea mortale. Mai sarebbe scampato al tribunale militare petainista e alla fucilazion­e. Mai avrebbe scritto Educazione europea, pubblicato nel 1945 in Gran Bretagna con il titolo Forest of Anger ed elogiato da de Gaulle. Mai avrebbe fatto questo e molto, molto altro, se Nina non ce lo avesse portato.

Anzi, se la madre non ce lo avesse spinto, se non ce lo avesse costretto, distruggen­dogli la dolcezza d’essere un bambino e un giovane uomo. Questa pare sia stata la realtà. Poi è intervenut­a la menzogna. E con la menzogna la letteratur­a, e il cinema.

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«La promessa dell’alba» di Eric Barbier. Nina Kacew (Charlotte Gainsbourg)
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