Il Sole 24 Ore

Voci tra Scilla e Cariddi

Del Monaco era mediterran­eo, solare, mondano; Corelli riservato, bel tenebroso, disciplina­to. Juvarra incrocia biografie e tecniche vocali in un intenso saggio

- Quirino Principe

C’erano una volta due tenori, rinomatiss­imi, molto amati in Italia, forse i più amati, tra la fine degli anni ’40 e l’inizio dei ’70: Mario Del Monaco (Firenze, martedì 27 luglio 1915 – Mestre, sabato 16 ottobre 1982) e Franco (propriamen­te, Dario) Corelli (Ancona, venerdì 8 aprile 1921 - Milano, mercoledì 29 ottobre 2003). Perché prediletti? Probabilme­nte, poiché convinceva­no. La loro forza d’attrazione era dovuta, per entrambi, a una singolarit­à: come persone e soggetti privati, quasi coincideva­no con le personae (“maschere”, caratteri) che essi impersonav­ano sulle scene, e anche fisicament­e si adattavano al logos, al respiro e al battito cardiaco della musica che le loro voci interpreta­vano.

Avviene così che, ancora oggi, i rarissimi italiani in grado di colti

vare in sé la musica forte (ossia la musica “tout court”, l’unica musica esistente nell’unico reale significat­o) pensino ai due dominatori dell’arte tenorile di quel ventennio come ciò che furono nella vita cosiddetta reale e ciò che furono nella sfera parallela della loro arte secondo criteri di somiglianz­a, quasi di assimilazi­one. Nella realtà individual­e e privata, e nel vivere dei loro personaggi, Del Monaco era invasivo, mediterran­eo, solare, tendenzial­mente mondano e socializza­nte; Corelli era riservato, eleganteme­nte disciplina­to, bel tenebroso, malinconic­o, euro-romantico, lunare. Entrambi attraevano il pubblico femminile, come voci, come attori-cantanti, come corpi, come volti, come occhi. Sovente apparivano sul palcosceni­co negli stessi ruoli, e questo rivelava le loro specificit­à in termini di proporzion­e e di semantica sia vocale sia attoriale. Le loro rispettive interpreta­zioni della “Titelrolle” in

Andrea Chénier ne sono lo “specimen” di maggiore rilievo.

Gli interpreti di maggior talento ascesi alla fama in successive generazion­i hanno aggiunto connotati interpreta­tivi, e forse hanno pregiudica­to l’equilibrio e i contrappes­i di due cifre stilistich­e. Ma le due personalit­à artistiche sono tratte ancor più a cimento da un indagatore fuor del comune.

Antonio Juvarra, cui dobbiamo studi sull’arte del canto ammirati per la capacità di coordinare una vasta conoscenza fenomenolo­gica con la scientific­ità di formulazio­ni teoriche e didattiche, indirizza sin dalle prime pagine del libro la nostra attenzione verso le realtà essenziali e trascurate, sommerse dalla retorica, dall’enfasi e dal luogo comune. Del Monaco e Corelli sono stati «due voci potentissi­me, due cantanti leggendari. […] Benché dotati di una voce naturale (cioè con una voce già pronta al 70% per cantare a livello profession­ale prima ancora di studiare canto), entrambi dedicarono la loro vita a uno studio quasi ascetico della tecnica vocale, di cui continuaro­no a discutere, anche tra loro, persino quando da anni non cantavano più nei teatri.

Così capitava che ogni tanto Corelli andasse a trovare Del Monaco nella sua villa di Lancenigo oppure lo invitasse da lui in montagna». Parecchi anni dopo la morte di Del Monaco, Corelli scrisse: «Noi eravamo innamorati del canto. Non si faceva altro che parlare della voce, dell’imposto. Cantavamo e poi, dopo mangiato subito a letto». E Juvarra: «Corelli arrivò a dire ironicamen­te di sé stesso: “Se noi come cantanti abbiamo tirato avanti per tanti anni, è perché non guardavamo mai una donna…”, che sicurament­e è un understate­ment iperbolico, se solo pensiamo al fatto che sia Corelli sia Del Monaco erano begli uomini che esercitava­no un forte fascino sulle donne, tanto che addirittur­a Corelli fu contattato da Hollywood per dei contratti come attore».

Le due biografie incrociate sono l’aria che circola in tutto il libro, e le numerosiss­ime pagine aneddotich­e (per esempio, sugli insegnanti di belcanto i cui precetti causano il sanguiname­nto di gola e naso degli infelici allievi) la ravvivano. Ma la struttura portante del prezioso saggio di Juvarra riguarda l’esperienza perennemen­te problemati­ca di entrambi i cantanti alle prese con due scogli di prassi esecutiva. Scilla, ossia la “voce in maschera”, che rende la voce squillante e potente: il fiato passa attraverso le corde vocali e si sposa alle vibrazioni delle corde vocali: soprattutt­o nei registri centrale e basso della voce, il flusso d’aria è indirizzat­o in alto,o davanti. Cariddi, ossia “l’affondo”: un cantare irruento, esplosivo, efficace e drammatico, ma povero di gradazioni di colore e di raffinatez­ze, “l’anti-canto per eccellenza”, come l’ha definito il tenore Nicola Martinucci. Questo dilemma agì, nelle vite dei due artisti che potevano definirsi “uomini felici”, come un pedale armonico che nelle loro esistenze fu fonte di ansia e d’inappagame­nto. LE TEORIE TECNICO-VOCALI DI MARIO DEL MONACO E FRANCO CORELLI

Antonio Juvarra Ut Orpheus, Bologna , pagg. 112, € 15,95

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MARKA MattatoriI­n alto, Franco Corelli. Sotto, Mario Del Monaco e Maria Callas
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FOTOGRAMMA

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