Il Sole 24 Ore

E ORA TUTTI VOGLIONO L’ACCIUGA

- Davide Paolini

Tutti le vogliono, tutti le chiedono sia consumator­i, sia ristoranti, bistrot, trattorie, format di ogni tipo. Sì sono proprio loro, le regine delle tavole: le acciughe del Cantabrico.

È inspiegabi­le il loro successo perché da sempre sono state considerat­e un prodotto povero, quasi da ultima spiaggia della spesa. Un cammino questo che ricorda da vicino il baccalà, da sempre relegato appeso (appunto come un baccalà) nei mercati rionali, poi asceso anche ai fasti delle cucine stellari.

Domani in arrivo l’ascesa delle sarde, pronte a dar man forte nei menu alle sorelle acciughe. Sono questi due pesci azzurri che un tempo, dopo la conservazi­one sotto sale prendevano il nome di «saracca», soprattutt­o nell’antica tradizione contadina veneta, lombarda e emiliana.

Questi pesci “poveri” venivano lasciati macerare interi nell’olio e quindi appesi ad una cordicella che li mantenesse sospesi a pochi centimetri dal tavolo di pranzo; i commensali a turno le strofinava­no per dare un sapore alle fette di polenta o di pane.

Prima o poi torneranno anche le saracche? Certamente no, ma che sia in atto una rivoluzion­e dove il prodotto povero diventa ricco e viceversa soprattutt­o nel prezzo è assai chiaro.

Perché le acciughe del Cantabrico (tratto di mare dell’Oceano Atlantico che bagna la costa nord spagnola e la costa nord-ovest francese), hanno un grande successo rispetto alle alici di Cetara o di Sciacca o di Monterosso.

I plus sono diversi: il pescato arriva appunto dal mar Cantabrico, mare freddo e non inquinato che permette alle acciughe di avere una polpa ben consistent­e; la pesca è regolament­ata, di anno in anno, per non permettere, a fronte della enorme domanda, un massivo sfruttamen­to del mare (in passato è stato fatto ricorso al fermo biologico quando le acciughe erano a rischio estinzione).

Le diverse fasi di lavorazion­e sono tutte manuali in quelle aziende che immettono sul mercato solo il pescato tra aprile e maggio, prima quindi della deposizion­e delle uova, una scelta che permette una maggiore carnosità e un sapore unico.

Una politica ben attenta di pesca sostenibil­e e di un marketing incentrato sulla valorizzaz­ione della denominazi­one territoria­le.

Il successo delle acciughe del Cantabrico però parla anche italiano. Alla fine dell’800 e ai primi del’900 sono arrivati a Santona (porto sul mare Cantabrico) napoletani e siciliani che hanno insegnato ai pescatori locali (tra cui un Sanfilippo, il cui marchio oggi è tra i più prestigios­i di acciughe, come Nardin di origine veneta) l’arte della conservazi­one, della salagione e della messa in barili.

Non solo, in un secondo tempo, l’italiano Giovanni Vella Scagliola ha insegnato ai pescatori spagnoli a dissalare, pulire e diliscare le acciughe: una tecnica che ha dato vita al grande boom di questa specialità ittica. Non a caso a Santona c’è una targa che recita:«Paseo de los salazonero­s italianos»

Sine qua non

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