Dl sblocca-cantieri, primo sì ai commissari senza lista delle opere
Dopo una giornata di tensioni Lega-M5S via al decreto salvo intese Tangenti su stadio Roma, arrestato presidente M5S del Consiglio comunale
Via libera del Consiglio dei ministri al decreto sblocca-cantieri, «salvo intese», dunque in versione nient’affatto definitiva. È il compromesso arrivato ieri sera al termine di una giornata di tensioni tra Lega e M5S, con il Cdm riunito una prima volta dopo pranzo: avviato un primo esame del Dl crescita, ma è stato subito interrotto quando si è passa allo sbloccacantieri. La riunione è stata aggiornata al tardo pomeriggio. Da registrare il primo via libera al decreto ma l’intesa è solo sulla riforma del codice appalti. Primo sì ai commissari, che nel testo di ingresso sono stati rafforzati nei poteri, ma restano le distanze. Ed è saltata la lista delle opere su cui un’intesa non c’è mai stata.
Sul fronte della cronaca, una nuova bufera ha colpito il Campidoglio: arrestato per corruzione il presidente della assemblea capitolina De Vito (M5S) nell’ambito della inchiesta sul nuovo stadio della Roma. Subito espulso da M5S da Di Maio.
Subappalto semplificato ma resta il nodo del limite al 30%: M5S vuole tenerlo, la Lega eliminarlo
Nel tormentato decreto legge sblocca cantieri non c’è solo la lite sui commissari. C’è una prima parte condivisa e consolidata: la riforma del codice appalti che il governo è convinto possa velocizzare i lavori. Una quarantina di norme che riscrivono radicalmente le regole degli appalti, con limitati fronti di tensione fra M5s e Lega: quelli più vistosi sono il limite del subappalto al 30% (che M5s vuole mantenere e la Lega eliminare) e la norma ammazza-gare che avrebbe alzato a 5 milioni la soglia per affidare i lavori senza gara formale, con una procedura negoziata (la vecchia trattativa) aperta a cinque imprese.
Mentre sulla prima si continua a discutere ed è stato uno dei motivi di stallo del Cdm di ieri, la seconda è stata eliminata. La norma arrivava da un “pacchetto Tria” per il rilancio degli investimenti e della crescita ma è stata cassata dal decreto per una forte opposizione pentastellata. Le reazioni delle imprese e dei sindacati erano andati nella stessa direzione.
Sostanziale sintonia fra i due partner di governo sul resto dell’impianto. L’obiettivo è ribaltare l’assetto organizzativo creato dal codice appalti approvato dal governo Renzi. La riforma del governo Conte punta a sfoltire le norme nazionali che appesantiscono rispetto alle direttive Ue (il cosiddetto gold plating) e soprattutto a ridimensionare i poteri dell’Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone. Nell’attuale codice l’Anac è il perno centrale, dotato di poteri regolatori (attraverso le linee guida) oltre che di vigilanza. Il governo vuole eliminare i primi, tornando a una impostazione classica, in cui è il governo a dettare l’attuazione del codice.
La sintonia fra i partner politici non vuol dire che il provvedimento proceda senza difficoltà. Il disegno era assorbire e modificare i decreti ministeriali e le linee guida Anac approvate finora (o in corso di approvazione) agendo con un decreto del presidente del Consiglio (Dpcm) che avrebbe dovuto approvare un regolamento attuativo unico. Ma i regolamenti veri e propri sono approvati con decreto del Presidente della Repubblica (Dpr) e hanno un iter di approvazione più rigido e complesso. Ed è stato proprio il Colle a far notare l’incongruità fra l’obiettivo del regolamento generale attuativo unico e la forma del Dpcm. La norma di legge è stata corretta (e anche spostata in avanti nell’articolato) e il regolamento sarà quindi approvato con Dpr.
Il regolamento generale segna un ritorno alla tradizione rispetto ai tentativi di soft law flessibile inaugurati con il codice del 2015.
Basta uno sguardo all’indietro per vedere come abbia funzionato in passato la tradizione. La legge fonda
mentale sui lavori pubblici è del 1865, approvata appena fatta l’Italia, e aveva un regolamento generale che fu approvato trenta anni dopo, nel 1895. Tempi più brevi, “solo” cinque anni per approvare il regolamento generale della legge Merloni, dal 1994 al 1999, mentre l’ultimo regolamento generale, quello del «codice De Lise» del 2006 aveva visto la luce quattro anni dopo, nel 2010. Il premier giura che qui il processo sarà molto più veloce proprio perché si avvarrà del lavoro già fatto.
Abbastanza solide le altre norme. Per le trattative private la soglia resta a 350mila euro, come fissata dalla legge di bilancio. Il subappalto - aldilà del limite del 30% - sarà comunque più facile con l’eliminazione della terna che oggi le imprese devono indicare già in gara (norma contestata dalla lettera di messa in mora della commissione Ue). Torna prioritario il massimo ribasso, mentre si ritocca il meccanismo di individuazione ed esclusione automatica delle offerte anomale. Il massimo ribasso è stato per anni la norma più contestata, ora si preferisce all’offerta economicamente più vantaggiosa (forse soprattutto perché non ha bisogno di commissioni di gara che valutino discrezionalmente le offerte). Per semplificare si introduce anche una norma pericolosa: la possibilità per la stazione appaltante di verificare i requisiti delle offerte proponenti dopo l’apertura delle buste (con la possibilità per imprese che non hanno i requisiti di influenzare le medie delle offerte). Una semplificazione doverosa è quella degli appalti per manutenzioni ordinarie e straordinarie sulla base del progetto definitivo e non esecutivo.