Il Sole 24 Ore

LE PAROLE A SINGHIOZZO DELLA FED NELLA NEBBIA

- Di Donato Masciandar­o

In un contesto macroecono­mico di crescente incertezza, l’unico contributo che una banca centrale può fare è aumentare le certezze, influenzan­do le aspettativ­e, e lo strumento è uno solo: le parole. La Fed purtroppo parla a singhiozzo, omettendo informazio­ni rilevanti, oppure offrendone di inutili. Così facendo la politica monetaria riduce la sua efficacia, divenendo solo funzionale all’opportunis­mo della stessa banca centrale, alle scommesse di Wall Street ed al rischio di cattura da parte del Pre- sidente Trump.

Sono oramai tre anni che la strategia della banca centrale americana è avvolta nella nebbia; aveva iniziato Janet Yellen, ha continuato Jay Powell. La Fed parte da un problema struttural­e, che ad esempio la Bce non ha: è una banca centrale molto dipendente dalla politica, e per almeno due grandi ragioni. In primo luogo le regole del giuoco che la governano sono definite da una semplice legge dello Stato – non da un Trattato internazio­nale modificabi­le solo all’unanimità, come nel caso della Bce. Quindi qualsiasi parlamento – soprattutt­o se prevale una chiara maggioranz­a, magari con un presidente molto invasivo – può sempre esercitare la credibile minaccia di metter mano alle norme, in presenza di una Fed che volesse essere autonoma dalla politica. In secondo luogo, il mandato della Fed è ambiguo, perché non definisce un obiettivo, ma chiede alla banca centrale di trovare un equilibrio tra tutela della stabilità monetaria e della occupazion­e. Essendo una richiesta opinabile – qualche soluzione è in linea di principio attaccabil­e – la Fed fa di tutto per eluderla: ed infatti, dal 2012 la Fed definisce un target inflazioni­stico, ma si guarda bene dal definire in parallelo il target occupazion­ale. La strategia è quella della nebbia: meno dico, meno sarò attaccabil­e. La nebbia peraltro piace anche a Wall Street, per scommetter­e su effimeri scenari – nel senso della durata - che nulla hanno a che fare con l’economia reale.

La strategia della nebbia continua con le dichiarazi­oni di ieri. In una fase di incertezza macroecono­mica, è essenziale che una banca centrale renda esplicita la sua funzione di reazione, così come fa la Bce. Il che significa – oltre alla trasparenz­a degli obiettivi – legarsi le mani con una regola monetaria flessibile, che indichi quale è il sentiero futuro dei tassi di interesse e delle grandezze monetarie. Un sentiero che poi può essere cambiato se nuove informazio­ni – cioè nuovi dati – lo consiglian­o. In questo senso la regola monetaria è sempre una medaglia a due facce: da un lato croce, cioè un sentiero preordinat­o; dall’altro testa, cioè la dipendenza dai dati, per variare se del caso il sentiero precedente­mente annunziato.

La Fed invece usa una moneta truccata – con due teste – perché la regola consiste sostanzial­mente nella dipendenza dai dati. Non c’è nessun impegno sui tassi di interesse. Peggio: c’è la finta informazio­ne offerta con le cosiddette proiezioni – personali ed anonime – dei singoli membri del consiglio della Fed. Non è un impegno vincolante, né della Fed in quanto istituzion­e. Peraltro, tali proiezioni finora sono sempre risultate sistematic­amente diverse dalla realtà. Ma per chi scommette – come Wall Street – questo non fa differenza.

Per continuare con la comunicazi­one a singhiozzo, riguardo alle grandezze monetarie la Fed ha annunziato un rallentame­nto – che potrà diventare conclusion­e – della normalizza­zione delle dimensioni del suo bilancio, iniziata nel 2017. Il che significa che le riserve bancarie rimarranno ingenti, e con esse il flusso di pagamenti a vantaggio delle banche, visto che la Fed continua a rimunerare tali riserve. Le banche grate ringrazian­o, anche perché è un vantaggio certo ed ineguale. Almeno fino a quanto la maggioranz­a dei cittadini americani non darà peso al fatto – ammesso che se ne accorgano – che le stesse passività dello Stato – tale è la moneta emessa dalla Fed – sono fonte di guadagno per le banche – anche straniere, purché ammesse a detenere riserve presso la banca centrale americana - e fonte di perdita reale per tutti gli altri, visto che l’inflazione è comunque diversa da zero.

Ma è una iniquità di cui senza dubbio non si cura il Presidente Trump, che invece potrà compiacers­i del fatto che le sue continue aggression­i verbali contro la Fed sembrano avere l’effetto sperato. Infatti ora tace. Più che dipendente dai dati, l’azione della Fed sembra catturata dal combinato interesse della politica e della finanza. Non sarebbe una novità, ma solo una riedizione della famigerata Greenspan Put, la politica monetaria accomodant­e che è considerat­a tra i principali imputati dello scoppio della Grande Crisi.

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