LE PAROLE A SINGHIOZZO DELLA FED NELLA NEBBIA
In un contesto macroeconomico di crescente incertezza, l’unico contributo che una banca centrale può fare è aumentare le certezze, influenzando le aspettative, e lo strumento è uno solo: le parole. La Fed purtroppo parla a singhiozzo, omettendo informazioni rilevanti, oppure offrendone di inutili. Così facendo la politica monetaria riduce la sua efficacia, divenendo solo funzionale all’opportunismo della stessa banca centrale, alle scommesse di Wall Street ed al rischio di cattura da parte del Pre- sidente Trump.
Sono oramai tre anni che la strategia della banca centrale americana è avvolta nella nebbia; aveva iniziato Janet Yellen, ha continuato Jay Powell. La Fed parte da un problema strutturale, che ad esempio la Bce non ha: è una banca centrale molto dipendente dalla politica, e per almeno due grandi ragioni. In primo luogo le regole del giuoco che la governano sono definite da una semplice legge dello Stato – non da un Trattato internazionale modificabile solo all’unanimità, come nel caso della Bce. Quindi qualsiasi parlamento – soprattutto se prevale una chiara maggioranza, magari con un presidente molto invasivo – può sempre esercitare la credibile minaccia di metter mano alle norme, in presenza di una Fed che volesse essere autonoma dalla politica. In secondo luogo, il mandato della Fed è ambiguo, perché non definisce un obiettivo, ma chiede alla banca centrale di trovare un equilibrio tra tutela della stabilità monetaria e della occupazione. Essendo una richiesta opinabile – qualche soluzione è in linea di principio attaccabile – la Fed fa di tutto per eluderla: ed infatti, dal 2012 la Fed definisce un target inflazionistico, ma si guarda bene dal definire in parallelo il target occupazionale. La strategia è quella della nebbia: meno dico, meno sarò attaccabile. La nebbia peraltro piace anche a Wall Street, per scommettere su effimeri scenari – nel senso della durata - che nulla hanno a che fare con l’economia reale.
La strategia della nebbia continua con le dichiarazioni di ieri. In una fase di incertezza macroeconomica, è essenziale che una banca centrale renda esplicita la sua funzione di reazione, così come fa la Bce. Il che significa – oltre alla trasparenza degli obiettivi – legarsi le mani con una regola monetaria flessibile, che indichi quale è il sentiero futuro dei tassi di interesse e delle grandezze monetarie. Un sentiero che poi può essere cambiato se nuove informazioni – cioè nuovi dati – lo consigliano. In questo senso la regola monetaria è sempre una medaglia a due facce: da un lato croce, cioè un sentiero preordinato; dall’altro testa, cioè la dipendenza dai dati, per variare se del caso il sentiero precedentemente annunziato.
La Fed invece usa una moneta truccata – con due teste – perché la regola consiste sostanzialmente nella dipendenza dai dati. Non c’è nessun impegno sui tassi di interesse. Peggio: c’è la finta informazione offerta con le cosiddette proiezioni – personali ed anonime – dei singoli membri del consiglio della Fed. Non è un impegno vincolante, né della Fed in quanto istituzione. Peraltro, tali proiezioni finora sono sempre risultate sistematicamente diverse dalla realtà. Ma per chi scommette – come Wall Street – questo non fa differenza.
Per continuare con la comunicazione a singhiozzo, riguardo alle grandezze monetarie la Fed ha annunziato un rallentamento – che potrà diventare conclusione – della normalizzazione delle dimensioni del suo bilancio, iniziata nel 2017. Il che significa che le riserve bancarie rimarranno ingenti, e con esse il flusso di pagamenti a vantaggio delle banche, visto che la Fed continua a rimunerare tali riserve. Le banche grate ringraziano, anche perché è un vantaggio certo ed ineguale. Almeno fino a quanto la maggioranza dei cittadini americani non darà peso al fatto – ammesso che se ne accorgano – che le stesse passività dello Stato – tale è la moneta emessa dalla Fed – sono fonte di guadagno per le banche – anche straniere, purché ammesse a detenere riserve presso la banca centrale americana - e fonte di perdita reale per tutti gli altri, visto che l’inflazione è comunque diversa da zero.
Ma è una iniquità di cui senza dubbio non si cura il Presidente Trump, che invece potrà compiacersi del fatto che le sue continue aggressioni verbali contro la Fed sembrano avere l’effetto sperato. Infatti ora tace. Più che dipendente dai dati, l’azione della Fed sembra catturata dal combinato interesse della politica e della finanza. Non sarebbe una novità, ma solo una riedizione della famigerata Greenspan Put, la politica monetaria accomodante che è considerata tra i principali imputati dello scoppio della Grande Crisi.