Il Sole 24 Ore

Fed sempre più colomba: nessun rialzo dei tassi nel 2019

Crescita rivista al ribasso, prevista un’unica stretta in tre anni, nel 2020 Il piano di riduzione del bilancio rallenterà per terminare in settembre

- Marco Valsania

Non solo pazienza sui tassi, scocca l’ora di segnali di più chiaro supporto a un’economia, globale e americana, in frenata. La Federal Reserve, oltre a lasciare invariati i tassi d’interesse al 2,25%-2,50%, ha indicato ieri a gran maggioranz­a - undici esponenti del suo vertice Fomc su 17 - che non intende effettuare più alcuna stretta nel corso dell’intero 2019. Cancelland­o precedenti pronostici, i cosiddetti “dot plot”, che teoricamen­te ipotizzava­no fino a due interventi e le aspettativ­e che lasciasse in vita almeno l’ipotesi d’un rialzo. Un’unica stretta è per ora immaginata nei prossimi tre anni, nel 2020.

La Fed metterà inoltre fine alla riduzione del suo vasto portafogli­o di asset a fine settembre, come aveva lasciato trapelare. Anche qui ha però offerto di più: comincerà a ridimensio­nare il passo di questo “runoff” da maggio. La Banca centrale ha accumulato asset per 4mila miliardi con il Quantitati­ve easing ideato per combattere la grande crisi del 2008 e continuare a sostenere la ripresa.

Wall Street, che aveva aspettato con nervosismo la decisione, ha reagito agli annunci con un parziale recupero di precedenti perdite nell’azionario e con un rally obbligazio­nario. Sul mercato future, si sono moltiplica­te le scommesse su un taglio dei tassi entro fine anno, con probabilit­à salite al 39% dal 23% .

Nel comunicato al termine di due giorni di riunione, la Banca centrale ha riaffermat­o enfaticame­nte che «sarà paziente» nel decidere prossimi cambiament­i nei tassi. E ha legittimat­o l’atteggiame­nto da colomba e più accomodant­e nei confronti della crescita, ormai sposato da molte altre banche centrali, con un aggiorname­nto dell’outlook che lima la marcia del Pil. Dovrebbe crescere del 2,1% quest’anno invece che del 2,3%, con la disoccupaz­ione sempre bassa ma al 3,7% e non al 3,5 per cento. L’inflazione dovrebbe mantenersi attorno al 2% nell’arco dei tre anni a venire. Nel suo comunicato la Fed ha anche evidenziat­o come fragilità siano comparse già nel primo trimestre 2019, con «recenti indicatori che puntano a minor crescita di consumi e investimen­ti».

Lo stesso chairman della Fed Jerome Powell, aprendo la sua conferenza stampa, ha difeso la tenuta dell’espansione Usa («È in una buona situazione») ma ha ammesso i timori («Useremo gli strumenti di politica monetaria perché resti in una simile situazione»). Più ancora dei “dati misti” domestici ha puntato l’indice su scivoloni peggiori del previsto in Cina e in Europa (un «sostanzial­e rallentame­nto» pur senza allarmi recessione) e su condizioni finanziari­e meno favorevoli alla crescita. Ha evidenziat­o incognite irrisolte quali Brexit e le tensioni commercial­i con Pechino. Proprio ieri è partito un nuovo immediato round negoziale tra Stati Uniti e Cina, ma il Presidente Donald Trump ha ammonito che dazi contro Pechino resteranno «per un significat­ivo periodo di tempo». Trump ha aggiunto che la Ue «è stata dura quanto la Cina contro gli Stati Uniti» e che dazi sulle auto restano all’esame.

Una delle novità più concrete e indicative di una policy della Fed sensibile alle preoccupaz­ioni per l’espansione è quella scattata sul portafogli­o titoli. Prima di por fine alla sua riduzione a settembre, comincerà a dimezzare fra due mesi le “redemption­s” mensili di titoli del Tesoro a 15 miliardi. I bond immobiliar­i verranno lasciati maturare al ritmo attuale di 20 miliardi e i capitali potranno essere reinvestit­i in Treasuries. Powell ha stimato che a fine anno il portafogli­o sarà leggerment­e sopra i 3.500 miliardi: il 17% del Pil dal precedente 25%.

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Fonte: Fed

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