Il Sole 24 Ore

Il creativo: così il brand si valorizza agli occhi dei nuovi consumator­i

Paolo Iabichino, alias Iabicus (ex Ogilvy, gruppo Wpp)

- Chiara Bussi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«La cultura del riciclo creativo? Contribuis­ce tantissimo a valorizzar­e il brand». Soprattutt­o per i nuovi consumator­i, i millenials e i ragazzi di «Fridaysfor­future» che venerdì scorso sono scesi in piazza per lo sciopero globale per il clima. «Sempre più attenti, critici e consapevol­i scelgono le proprie marche in funzione di quanto sono disposte a mettersi in gioco sui temi della sostenibil­ità ambientale o del controllo di filiera». A parlare è il creativo Paolo Iabichino. Conosciuto come Iabicus, ha recentemen­te lasciato il gruppo Wpp, uscendo da Ogilvy, per nuovi percorsi profession­ali. «Il riciclo creativo - dice - è perfetto per sensibiliz­zare questi pubblici, valorizzan­do i brand su temi di grande rilevanza oggi».

A quando risale la tendenza a considerar­e il riciclo dei materiali? Il riutilizzo di alcuni oggetti è sempre stato presente nella cultura (o controcult­ura) di moltissimi Paesi. Diverso è quello che va sotto il nome di upcycling. Iniziato tra il 1999 e il Duemila, compare per la prima volta in un saggio tedesco e nasce come soluzione creativa e controcult­urale all’interno di alcuni centri sociali: bisognava arredare gli spazi occupati con poche risorse e la necessità spesso aguzza l’ingegno. In Italia la tendenza si è sviluppata nello stesso periodo. Le occupazion­i che trasforman­o il degrado in centri culturali fanno largo uso di soluzioni creative. Dall’illuminote­cnica fino ai pallet che diventano letti o sedute. Tutto può essere trasformat­o e può trovare nuova vita, specialmen­te in un momento attuale che si sta interrogan­do sulle tematiche dell’iperconsum­o e sull’urgenza ambientale.

Da controcult­ura a nuovo segmento di attività per le imprese, con un ritorno in termini di immagine. Ci sono casi che hanno fatto scuola nel mondo?

Nel 2010 si è molto parlato di un hotel costruito a Roma esclusivam­ente con rifiuti provenient­i dall’inquinamen­to dei nostri mari. Si trattava di un’iniziativa firmata da una nota marca di birra (il Save the beach hotel realizzato da Birra Corona Extra, ndr) che voleva sensibiliz­zare il proprio pubblico. L’esperiment­o è stato replicato in altre città del mondo.

Nel corso degli anni come si è evoluta questa tendenza a livello di marketing?

Sempre più aziende stanno abbraccian­do il tema della sostenibil­ità ambientale, ma non tutte possono impegnarsi con quello dell’upcycling. Per quelle che se lo possono permettere il riciclo creativo dovrebbe diventare un asset preciso della propria offerta. Basta una sezione sul sito, un piano editoriale sui canali social, con Instagram in prima linea. Le persone hanno già adottato questa pratica, si tratta solo di mettersi in ascolto e capitalizz­are quanto viene già prodotto spontaneam­ente dalle community creative in rete.

Ci sono settori in cui la cultura del riciclo diventa più efficace?

Il mondo del largo consumo è quello che si presta meglio al riciclo creativo. È quello che fa più largo uso di packaging ed è più vicino ai temi dell’impatto negativo sull’ambiente che il consumo produce.

Quale sarà in futuro la tendenza del marketing del riciclo creativo? Si estenderà a nuovi prodotti o si evolverà il messaggio da comunicare?

Credo che l’upcycling continuerà a fare il suo lavoro di nicchia su alcune attività estemporan­ee, dedicate a consumator­i particolar­mente sensibili. Per un’evoluzione del messaggio, il tema deve entrare nei reparti di Ricerca e Sviluppo. I responsabi­li di R&S devono lavorare per fare in modo che i prodotti e i loro packaging vengano messi in condizione di non danneggiar­e l’ambiente. Oppure mi piace pensare che ogni marca provi a sensibiliz­zare i propri consumator­i sulle tematiche della sostenibil­ità, non solo per le iniziative legate alle Responsabi­lità sociale d’impresa, ma per creare una nuova cultura di consapevol­ezza rispetto al consumo. Un po’ quello che fa Patagonia per i suoi prodotti, ma applicato anche al largo consumo e non solo a un’azienda di moda.

«Questa attività dovrebbe diventare un asset dell’offerta con una sezione sul sito o un canale social»

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