Il Sole 24 Ore

Dal lavoro ai divorzi, quando il selfie è decisivo

- —Marisa Marraffino www.quotidiano­diritto.ilsole24or­e.com Il testo integrale dell’articolo

Finire nei guai per un selfie. Il gesto, apparentem­ente innocuo, di autoscatta­rsi una fotografia finisce nelle aule dei tribunali. Sotto le lenti dei giudici le distrazion­i al lavoro, i tradimenti e anche i finti matrimoni per ottenere il permesso di soggiorno. La giurisprud­enza considera i selfie come prove che possono entrare nei processi a vario titolo. Lo sa bene il lavoratore di Milano, licenziato per essersi scattato due selfie con le colleghe durante l’orario di lavoro. L’uomo aveva utilizzato il tablet destinato alla vendita e tanto era bastato per far scattare il licenziame­nto per giusta causa. Gli autoscatti scambiati su WhatsApp possono entrare anche nelle sentenze di separazion­e tra coniugi. Come è successo a un uomo di 43 anni di Genova che aveva scambiato selfie con l’amante in una chat di gruppo. La moglie ha prodotto la foto in giudizio come prova documental­e dell’adulterio. La mancanza di selfie del viaggio di nozze e della vita in comune è invece costato il permesso di soggiorno a una donna della Repubblica Dominicana, che l’aveva chiesto sostenendo di aver sposato un cittadino italiano. Ma il giudice l’ha negato, ritenendo il matrimonio contratto preordinat­o a consentirl­e l’ingresso in Italia.

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