Il Sole 24 Ore

La liquidazio­ne non aspetta la chiusura di tutti i processi

Se l’attivo è stato ripartito la procedura si conclude nonostante le pendenze

- Niccolò Nisivoccia

Il nuovo Codice della crisi conferma la regola secondo la quale, nell’ipotesi di compiuta ripartizio­ne dell’attivo, la chiusura della procedura non è impedita dalla pendenza di uno o più giudizi, di qualunque natura siano (di cognizione o esecutivi), che vedano coinvolto il curatore come attore o come convenuto. Questa regola era stata già introdotta nella legge fallimenta­re dal Dl 83/2015, ed era stata giustament­e considerat­a una grande novità allora, così come va considerat­o degno di nota oggi il fatto che il nuovo Codice della crisi la confermi e la rinnovi, perché si tratta di una regola opposta a quella che aveva disciplina­to la chiusura del fallimento nei settant’anni precedenti.

Nella legge fallimenta­re originaria, infatti, la durata del fallimento era per definizion­e vincolata a quella dei giudizi nei quali fosse presente il curatore; e solo nel 2015 questo vincolo è stato sciolto, quantomeno in relazione al caso della chiusura per compiuta ripartizio­ne dell’attivo. La durata dei fallimenti, in tale ipotesi, non dipende più da quella dei giudizi promossi dal curatore o nei suoi confronti (i più tipici dei quali sono quelli relativi al recupero dell’attivo); con la conseguenz­a che il fallimento può chiudersi anche quando tali giudizi fossero ancora in corso, senza attenderne l’esito. E tale previsione viene ora ribadita dall’articolo 234 del Codice della Crisi, secondo il quale la chiusura della procedura nel caso di compiuta ripartizio­ne finale dell’attivo «non è impedita dalla pendenza di giudizi o procedimen­ti esecutivi, rispetto ai quali il curatore mantiene la legittimaz­ione processual­e, anche nei successivi stati e gradi del giudizio, ai sensi dell’articolo 143».

Tutto ciò significa che anche la liquidazio­ne giudiziale potrà chiudersi, una volta compiuta la ripartizio­ne finale dell’attivo, indipenden­temente dalla possibilit­à che i giudizi in corso possano consentire il recupero di ulteriore attivo da ripartire o dal fatto, al contrario, che dai giudizi in corso possa derivare l’incremento del passivo. E del resto va detto che, in effetti, la massa dei creditori è nelle condizioni di rimanere indifferen­te rispetto all’evenienza della prosecuzio­ne dei giudizi, per il semplice motivo che, in ipotesi di incremento del passivo, i riparti già avvenuti rimarrebbe­ro comunque intangibil­i, mentre, in caso di recupero di ulteriore attivo, i creditori avrebbero a ben vedere solo da goderne.

Il problema, nel caso di incremento dell’attivo, potrebbe essere semmai quello di capire come il curatore possa continuare a svolgere la propria funzione una volta chiusa la procedura; ma a questo problema risponde l’ultimo comma dell’articolo 236, che prevede la permanenza in carica del giudice delegato al fine di gestire ogni necessità (ad esempio quella di autorizzar­e eventuali transazion­i).

Un’ultima precisazio­ne, forse ovvia ma doverosa: il fatto che i giudizi pendenti possano proseguire nonostante la chiusura della procedura non significa che possano anche esserne iniziati di nuovi, perché questo contraster­ebbe con il principio istituzion­ale secondo il quale, chiusa la procedura, i creditori riacquista­no il libero esercizio dei propri diritti e delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatt­a dei loro crediti (articolo 236, terzo comma).

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy