La vecchia miniera brilla con l’arte
La sede distaccata del Louvre celebra Omero in una mostra per tutti. A sei anni dall’apertura del museo e dall’inclusione del bacino minerario nella lista Unesco il bilancio di un difficile, coraggioso rilancio
Guardando l’orizzonte dalla morbida collina fiorita che sovrasta i resti della miniera di carbone su cui sorge il Louvre-Lens, si vede ancora uno dei tanti terrils, le montagnette di scarti minerari che punteggiano una regione altrimenti piattissima: il «bacino minerario» del Nord della Francia. Qui il declino dell’attività estrattiva, iniziato negli anni ’60 del secolo scorso e trascinatosi per altri trent’anni, ha lasciato dietro di sé un paesaggio alterato e inquinato, sprofondando la regione in una povertà ancora più nera, apatica.
I corons, le case operaie dai mattoni rossi, circondano il prato su cui poggia il leggero edificio a vetri realizzato dallo studio giapponese Sanaa e il bel padiglione circolare che ospita «L’Atelier de Marc Meurin», ristorante dal cuoco autoctono e stellato. Poco più in là, le anguste ex baracche dei minatori, coi loro fazzoletti d’erba, rose e gerani, impressionanti per i claustrofobici ambienti dai soffitti appena spioventi, bassissimi.
Il Louvre autrement (“diversamente”)nato con l’ambizione di condividere con un pubblico molto allargato la bellezza e la conoscenza - è stato inaugurato nel 2012, lo stesso anno in cui il Bassin minier del Nord-Pas de Calais si è guadagnato un posto tra i siti del Patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco. Costato 150 milioni di euro (cui va aggiunto un budget annuale di 15 milioni di euro, autofinanziato per 2,5 milioni), è stata una prima ambiziosa tappa di un coraggioso tentativo di riqualificazione del territorio. Cercando di fare di necessità virtù, di trasformare un passato di miseria e lavoro durissimo in un’eredità di cui andare fieri, ci si è riappropriati delle terre crivellate di buchi, delle torri di estrazione mineraria divenute una sorta di memoriale alle fatiche degli antenati. Delle miniere si sono fatti musei e si sta ora cercando di realizzare un intervento naturalistico che metta in rete le aree naturali. Con spirito più ludico, c’è chi ha trasformato gli avvallamenti generati dalla subsidenza in stagni ricreativi e chi ha infilzato un terril con impianti sciistici.
Il modello cui si era guardato in principio era Bilbao: la resurrezione di un territorio industriale in crisi segnata dall’ architettura audace del museo Guggenheim di Frank Gehry. Aperto nel 1997, due decadi dopo ha più di un milione di visitatori l’anno, per due terzi stranieri. L’impatto annuale sull’economia è stato valutato in 485 milioni di euro dalla società di consulenza
B + i Strategy. Ben presto però ci si è resi conto che quell’esperienza non poteva essere ricalcata: Lens è una piccola cittadina in un’area dove la popolazione è frazionata in 150 comuni rivali, al contrario dell’ex porto industriale basco di cui il Guggenheim è stato solo l’ultimo stadio di un lungo progetto di rilancio e ristrutturazione della città e delle infrastrutture.
Secondo uno studio di TCi research, il Louvre porta nell’area 20 milioni di euro l’anno, anche se i visitatori, quasi mezzo milione, non sono di molto inferiori alle attese e il museo è il terzo più visitato di Francia, fuori dall’Île-deFrance. Ma il 64% degli avventori è della regione, dunque spende poco, e la mostra permanente è rimasta gratuita affinché non si riducesse la frequentazione. Molti infatti spesso ritornano nell’ampio edificio a vetri, divenuto un elegante rifugio nei (tanti) giorni di pioggia. Nonostante la disoccupazione nella regione Lens-Hénin sia scesa dal 17% di sei anni fa al 13%, il malcontento resta, e nella zona il Rassemblement National alle Europee ha fatto incetta di voti, con picchi che toccano il 50%.
Forse un museo non riesce da solo a risollevare l’economia di una regione, ma non si possono negare i benefici in termini di sviluppo sociale e culturale: sono 60mila gli studenti che vengono in visita ogni anno e 15mila persone hanno partecipato alle attività “di mediazione”, ovvero quelle organizzate per coinvolgere bambini, adolescenti, nonni e adulti. Il «Loulouvre» (gioco di parole con Loulou, lupo amatissimo dai piccoli francesi), ad esempio, gli atelier d’arte dedicati ai nonni, o le visite trasformate in cacce al tesoro. Riuscito il tentativo di coinvolgere un pubblico più vasto rispetto a quello abituale dei musei: qui solo il 33% dei visitatori è laureato, contro una media nazionale del 55%.
Le esposizioni sono infatti pensate per coinvolgere neofiti e amatori. Quella permanente innanzitutto, detta «Galleria del tempo»: un lungo percorso dove oltre 200 opere provenienti dal Louvre parigino sono esposte in ordine temporale e geografico: si comincia con l’invenzione della scrittura in Mesopotamia e si arriva fino alla rivoluzione industriale. A sinistra c’è l’Europa, a destra l’Egitto e il vicino Oriente. Sui muri il tempo è segnato da tacche che s’infittiscono nei secoli bui. L’intento della presentazione cronologica è didattico: permette di apprezzare gli scambi fra le culture e le epoche o, al contrario, le rotture. Sulla stessa linea sono ad esempio esposti un elegante idolo femminile di Syros (nelle Cicladi) risalente al 2500 a. C. circa, una statuetta coeva di un sacerdote mesopotamico, un affascinante maggiordomo egizio, poco più in là un vaso antropomorfo di Troia.
Man mano che si risale il tempo le meraviglie proseguono: un pannello del palazzo di Dario a Susa (Iran), intriganti dee della fecondità libanesi, sensuali donne fenicie, e poi alcune splendide statue romane della Collezione Borghese, mosaici di Utica (Tunisia), pitture murali di Pompei, quadri di Botticelli, Raffaello, El Greco, Tintoretto, decorazioni murali del mausoleo del sultano Selim II, a Istanbul. E poi ancora Rubens, Murillo.
Le esposizioni temporanee seguono lo stesso criterio: «eccellenza culturale e grande accessibilità». Quella su Omero, che durerà fino al 22 luglio, è stata una vera sfida, afferma la direttrice di Louvre-Lens, Marie Lavandier: non è stato facile «affrontare un tale mostro sacro, proponendo un percorso sia per i neofiti sia per gli specialisti che rendesse conto della bellezza e della potenza della sua opera e dell’ampiezza del suo lascito nella storia dell’arte e nelle società occidentali».
Ecco dunque uno splendido casco fatto da denti di cinghiale del XIV sec. a C. simile probabilmente a quello che si narra sia stato donato a Ulisse dall’eroe cretese Merione; urne etrusche rappresentanti il ratto di Elena; registrazioni della ritmata voce dei bardi serbi fatte negli anni ’30 da Milman Parry: i “guslari”, che come gli aedi indiani sapevano a memoria poemi epici di diverse migliaia di versi. E poi la musica delle tante opere ispirate dai poemi omerici, il taccuino di appunti di Racine sull’Odissea, i dipinti di Chagall e molti altri tesori attraverso cui questa storia senza tempo si è propagata per i secoli e le civiltà.