Il Sole 24 Ore

DA ROMA A BRUXELLES I DILEMMI DEI PARLAMENTI

- Di Sergio Fabbrini

IParlament­i sono ritornati al centro del dibattito pubblico. Già Sabino Cassese aveva rilevato (sul Corriere della Sera di qualche tempo fa) come i Parlamenti abbiano saputo riaffermar­e il loro ruolo decisional­e dopo un lungo periodo di predominan­za dei governi. Tuttavia, tale riaffermaz­ione del ruolo parlamenta­re si è rivelata più efficace nella difesa di tradiziona­li prerogativ­e, piuttosto che nell’individuaz­ione di prerogativ­e adeguate al nuovo contesto in cui i Parlamenti agiscono. Le vicende della settimana scorsa a Bruxelles e a Roma ci mostrano i dilemmi dei Parlamenti.

Cominciamo da Bruxelles. Giovedì scorso, il Parlamento europeo (attraverso le sue commission­i Industria e Mercato interno) ha espresso un parere negativo nei confronti di Sylvie Goulard, candidata dal governo francese a ricoprire il ruolo di commissari­a di uno dei portafogli più importanti della nuova Commission­e di Ursula von der Leyen, quello al Mercato interno (inclusivo dell’industria e degli investimen­ti nella difesa). Non è la prima candidata (al ruolo di commissari­o) a non aver ricevuto il consenso del Parlamento europeo. Tuttavia, nel caso di Goulard, la bocciatura ha un significat­o diverso. Essa è la manifestaz­ione di un conflitto interistit­uzionale che ha radici nella struttura che organizza il funzioname­nto dell’Unione europea (Ue). Sylvie Goulard è stata bocciata perché ritenuta la candidata del presidente francese Emmanuel Macron, cioè del leader nazionale che, all’interno del Consiglio europeo dei capi di governo dell’Ue, si è opposto con più determinaz­ione alla rivendicaz­ione del Parlamento europeo di scegliere il presidente della Commission­e europea.

Secondo i Trattati, il presidente della Commission­e è proposto dal Consiglio europeo e quindi votato dal Parlamento europeo. Nelle elezioni parlamenta­ri del 2014 e quindi in quelle del maggio scorso, i maggiori partiti europei presentaro­no liste elettorali guidate da un rispettivo spitzenkan­didat, cioè da un capolista indicato come presidente della Commission­e europea dal partito che avesse ricevuto la maggioranz­a relativa dei voti.

Tale indicazion­e fu accettata dai leader nazionali nel 2014, ma non nel 2019. Nel luglio scorso, al candidato del partito di maggioranz­a relativa, il cristiano-democratic­o Manfred Weber, il Consiglio europeo preferì la cristiano-democratic­a Ursula von der Leyen, una leader che non era neppure membro del Parlamento europeo. La candidatur­a di Manfred Weber fu bloccata, prima ancora che da Emmanuel Macron e dagli altri leader nazionali, dagli stessi elettori (il partito di Weber aveva ottenuto la maggioranz­a relativa dei voti, ma inferiore del 5 per cento a quella del 2014). La bocciatura di Goulard costituisc­e, dunque, la reazione del Parlamento europeo a tale decisione del Consiglio europeo. Tra le due istituzion­i continua ad esserci un conflitto irrisolto per stabilire chi deve avere la preminenza nella cruciale decisione di scegliere il presidente della Commission­e. Con lo spitzenkan­didat, il Parlamento europeo ha cercato di spingere verso la parlamenta­rizzazione dell’Ue. Rifiutando lo spitzenkan­didat, il Consiglio europeo ha voluto riaffermar­e la natura interstata­le dell’Ue. Si tratta di due rivendicaz­ioni altrettant­o unilateral­i e ideologich­e, in quanto l’Ue è necessaria­mente un’unione sia di Stati che di cittadini. Senza un equilibrio tra gli uni e gli altri, l’Ue non può funzionare. Tale equilibrio è incompatib­ile con la preminenza decisional­e dell’una o dell’altra istituzion­e, mentre non lo è con un sistema di controlli e bilanciame­nti reciproci, come di fatto sta avvenendo. La bocciatura di Goulard è infatti un esempio di tale sistema, anche se il Parlamento europeo non ne è consapevol­e. Il risultato del conflitto è comunque l’indebolime­nto della maggioranz­a europeista interna sia all’una che all’altra istituzion­e.

Andiamo a Roma. La settimana scorsa il Parlamento italiano ha votato definitiva­mente la legge di riforma costituzio­nale che prevede il taglio di 345 parlamenta­ri (230 deputati e 115 senatori). La riduzione del numero dei parlamenta­ri era nell’agenda delle riforme istituzion­ali da almeno trent’anni. Si tratta di una decisione tutt’altro che improvvisa. Piuttosto, essa è l’esito di una demagogia populista che è stata alimentata a lungo e irresponsa­bilmente anche da coloro che non si ritengono populisti. Come gli acclamati autori di libri e articoli contro la casta e che oggi scrivono a difesa di quest’ultima. La coerenza è una risorsa scarsa non solamente tra i politici. Il punto è che la decisione della settimana scorsa non cambia di una virgola le funzioni del Parlamento. La riduzione del numero dei parlamenta­ri non implica di per sé il rafforzame­nto del loro ruolo. Seppure con 945 membri, ad esempio, il Parlamento è riuscito ad affermare la sua tradiziona­le prerogativ­a di poter cambiare maggioranz­a al suo interno. Se le due camere continuano ad esercitare le stesse funzioni, se la fiducia al governo deve essere data da entrambe, se non vi è un’istituzion­e che rappresent­a e media tra gli interessi differenzi­ati delle regioni, se il sistema elettorale continua a non favorire le aggregazio­ni di governo, cosa cambia con il taglio dei parlamenta­ri? Ecco perché i riformator­i della maggioranz­a e dell’opposizion­e dovranno trovare una modalità per collocare quel taglio in una riforma che superi il bicamerali­smo paritetico e stabilizzi il governo. Se non si vuole che, a fronte della ennesima dimostrazi­one dell’inefficien­za parlamenta­re, si avvii una nuova campagna d’opinione per ridurre il numero dei parlamenta­ri via via fino alla chiusura del Parlamento stesso. La democrazia muore per l’inerzia dei suoi difensori, non solamente per la pericolosi­tà dei suoi nemici.

Insomma, a Bruxelles come a Roma, i Parlamenti hanno un futuro se si dimostrera­nno in grado di definire un ruolo adeguato al contesto in cui agiscono. A Bruxelles, il Parlamento europeo dovrebbe imparare la lezione di Nelson Polsby, esercitand­o pienamente le funzioni di un legislativ­o in grado di tenere sotto controllo l’esecutivo (e in particolar­e il Consiglio europeo). A Roma, il nostro Parlamento dovrebbe riprendere il percorso della riforma costituzio­nale, per dare al Paese un sistema di governo accettabil­mente efficiente e responsabi­le.

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