Il Sole 24 Ore

Il senso del design per la biologia

- Agnese Codignola

AMilano ottobre e novembre sono i mesi di Milano Fall Design 2019, un insieme composito di manifestaz­ioni sparse per la città che ha come tema il design. Uno degli eventi meno scontati è Cell Design, appuntamen­to che coinvolge direttamen­te i ragazzi delle scuole, invitati a visitare laboratori, parlare con i ricercator­i e vivere un’esperienza immersiva (con la proiezione dell'omonimo film) presso l’Istituto della Fondazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (Firc) per l’Oncologia molecolare (Ifom).

Cosa hanno a che vedere cellule, proteine e geni con il design? Molto più di quanto si potrebbe pensare, e da più di un punto di vista. Spiega infatti Dario Parazzoli, fisico di formazione, coordinato­re dell’Imaging Lab e grande esperto di una delle discipline più innovative della ricerca di base, la meccanobio­logia, la scienza che studia la vita anche attraverso ciò che succede fisicament­e in una cellula, per esempio quando si muove, si duplica, si trasforma: «Il design è all’origine di tutta la biologia, perché solo quando, quattro secoli fa, siamo stati in grado di costruire un microscopi­o, abbiamo iniziato ad avere un’idea realistica di ciò che era un essere vivente. Da quel momento i grandi passi in avanti sono stati resi possibili dal fatto che qualcuno ha trovato il modo di realizzare uno strumento con il quale verificare una sua ipotesi, e ancora oggi è così».

Parazzoli vive ogni giorno la necessità di adattare gli strumenti di cui dispone - microscopi di ultima generazion­e, potentissi­mi, ma anche limitati nella loro uniformità industrial­e - a ciò che sta studiando e per questo da tempo ha intrapreso anche una strada più artigianal­e: «Per osservare come si comportano le cellule quando, per esempio, sono sottoposte a uno stiramento, a una pressione, a uno stress, cioè per riprodurre in maniera più fedele possibile che cosa davvero succede in un organismo vivente, abbiamo bisogno di ricrearne le condizioni. Cose di questo tipo diventano possibili solo con strumenti disegnati e poi realizzati ad hoc, con processi creativi non dissimili da quelli cui di norma ricorre un designer che sempre, come noi, cerca di conciliare forma e funzione. È la nostra esperienza quotidiana, intrisa anche di immaginazi­one. Mostrare i punti di contatto tra una disciplina a elevata specializz­azione scientific­a e il design ci è sembrato un bel modo per illustrare a tutti quanto bellezza e creatività siano sempre insite nella scienza e quanto i confini tra discipline diverse siano spesso artificios­i, o comunque più sfumati del previsto».

Per ottenere quanto gli occorre, Parazzoli conta sulle straordina­rie capacità inventive di un ingegnere cinese, Qingsen Li, che prima progetta lo strumento migliore con programmi simili a quelli usati dai designer, e poi lo realizza con una delle due stampanti in 3D, una a filamento e una a getto. «La mia - spiega Li -, in fondo, è una scienza artigianal­e, nella quale cerchiamo di giungere al dispositiv­o più utile conciliand­o la parte microelett­rica con quella meccanica e con le leggi dell’ottica più avanzata, e tenendo presente che ogni pezzo deve poi lavorare all’interno di uno dei microscopi, fatto che di per sé pone diverse questioni tecniche». Da questo punto di vista Li è uno scienziato con una sfumatura rinascimen­tale: le sue competenze sono multidisci­plinari, i suoi lavori unici e irripetibi­li. Il risultato è che una volta stampati, i device hanno spesso forme affascinan­ti, che ricordano figure di frattali, le impalcatur­e di una cattedrale medievale, le infioresce­nze più complesse o strumenti disegnati da Leonardo. Impossibil­i da trovare in commercio, gli oggetti di Li sono davvero, in una scala molto piccola, oggetti di design.

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