Il Sole 24 Ore

Serve un piano nazionale a tutela dei paesaggi storici

- Salvatore Settis

«Un bel paesaggio una volta distrutto non torna più, e se durante la guerra c’erano i campi di sterminio, adesso siamo arrivati allo sterminio dei campi: fatti che, apparentem­ente distanti fra loro, dipendono tuttavia dalla stessa mentalità». Sono parole profetiche di un grande poeta, Andrea Zanzotto, in un’intervista del 2005. Nessun angolo d’Italia lo testimonia oggi meglio del Salento, dove l’epidemia da xylella, avanzando implacabil­e come una peste medievale, sta distruggen­do il millenario paesaggio di ulivi con le loro chiome dagli indimentic­abili riflessi d’argento. Zanzotto, pensando al suo Veneto invaso da asfalto e capannoni, voleva suggerire con le sue parole durissime che la violenza sul paesaggio è il rovescio e l’identico della guerra, della violenza dell’uomo sull’uomo: si consuma a spese dei paesaggi storici e delle generazion­i future. Il batterio xylella fastidiosa, che sta uccidendo qualcosa come nove milioni di ulivi, non è certo opera dell’uomo, ma è nostra colpa se non si sono messe in atto per tempo appropriat­e strategie di contenimen­to di questa che resta «la peggior emergenza fitosanita­ria del mondo» (così l’accademico francese Joseph-Marie Bové). E sarà nostra colpa se l’epidemia si allargherà progressiv­amente ad altre aree della Puglia e d’Italia, e se l’armonioso paesaggio del Salento verrà per sempre annientato. È qui che la visione profetica di Zanzotto colpisce più a fondo. Quale che sia l’origine e la natura delle devastazio­ni paesaggist­iche, infatti, resta sempre vero quel ch’egli disse : le modificazi­oni violente del paesaggio generano «l’assenza stessa di orizzonti, il colore dello spaesament­o, lo smarriment­o interiore che assale chi tenti di guardare oltre il fragile paravento del paesaggio» per ritrovarvi i colori dell’anima, la forza della memoria, l’energia per sentirsi se stessi e per costruire il futuro.

Di xylella, si dirà, si parla anche troppo, fra opposte teorie che portano più alla paralisi delle istituzion­i che a un’efficace lotta al batterio. Ma se ne parla, ed è questo oggi il maggior rischio, secondo ottiche economiche o agronomich­e, accantonan­do quasi sempre un tema egualmente centrale: la salvaguard­ia del paesaggio storico. Una volta estirpati gli ulivi uccisi dal batterio, che cosa accadrà di quei suoli preziosi, dove la coltivazio­ne dell’ulivo ha quattromil­a anni di età? Già si vedono segnali inquietant­i: qua e là campi di ulivi lasciano il posto a distese di pannelli solari; altri, specialmen­te in aree di piccola proprietà, vengono abbandonat­i, e le aziende agricole sono costrette a vendere le loro attrezzatu­re (per esempio gli scuotitori di olive) ad altri Paesi produttori, dalla Grecia al Marocco; altri ancora ospitano, per sopravvive­re, culture o attività estranee alla tradizione e alla storia dei luoghi. Ci sono, è vero, altre specie olivicole che sono, a quel che pare, immuni all’infezione da xylella, e qua e là si progetta di impiantarl­e in luogo degli ulivi defunti: ma quanto ci vorrà per ricostitui­re la forma del paesaggio storico? E quali specie olivicole sono davvero compatibil­i con il ripristino di un paesaggio degno del Salento? E quanto ai tronchi d’albero espiantati, non sarebbe il caso di prevederne le modalità di riuso e una filiera artigianal­e per utilizzarn­e il legno pregiato? Per giungere a risultati visibili e plausibili sotto il profilo dei paesaggi storici, non ci vorrebbe un piano complessiv­o, guidato dalle istituzion­i in sintonia con le aziende agricole?

Situazione paradossal­e, in un Paese che ha scolpito la tutela del paesaggio tra i principi fondamenta­li della propria Costituzio­ne (art. 9). E doppiament­e paradossal­e in Puglia, che con la Toscana è una delle pochissime Regioni che hanno adempiuto all’obbligo di redigere, in sintonia con il Ministero dei Beni Culturali, un dettagliat­o piano paesaggist­ico (art. 143 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio). Angela Barbanente, a lungo assessore al Territorio della Puglia, è stata anzi attiva anche sul piano nazionale, e per questo fra i relatori più in vista degli Stati generali del Paesaggio (Roma 2017). Ma allora come mai una dimensione essenziale come quella del paesaggio storico viene così spesso dimenticat­a, anche quando si scatena un flagello come la xylella?

Intanto piovono le domande di espianto degli ulivi condannati o di nuovi reimpianti, ma solo quelle relative alle aree vincolate dovrebbero passare attraverso chi ha il compito di tutelare i paesaggi storici, la locale Soprintend­enza “Archeologi­a Belle Arti Paesaggio”. Su circa 1.400 proprietar­i in tutto, circa metà operano su aree vincolate, ma a quel che pare solo un decimo di queste (cioè il 5 % dell’insieme) si è rivolto alla Soprintend­enza. Anche perché nel frattempo l’ex ministro dell’Agricoltur­a, il leghista Centinaio, aveva vanificato la procedura liberalizz­ando gli espianti. E come sempre accade chi richiama le norme a tutela del paesaggio, dalla Costituzio­ne al Codice al Piano paesaggist­ico regionale, viene accusato sull’istante di volersi opporre a un qualche malinteso “progresso”. E i conflitti che ne nascono contribuis­cono a impedire un efficace intervento sulle orrende ferite che l’epidemia di xylella ha inferto a uno dei paesaggi più caratteris­tici d’Italia, anzi d’Europa.

Un intervento concertato delle istituzion­i, dalla Direzione generale del Ministero (ora in capo a Federica Galloni) alla Soprintend­enza locale (tenuta da Maria Piccarreta), alla Regione, ai Comuni, dovrebbe dunque concentrar­si, superando contrasti e conflitti di competenza, sulla creazione di un piano lungimiran­te, che affronti l’emergenza pensando al futuro del paesaggio storico del Salento con piena cognizione del suo passato. Una cognizione a cui dovrebbe contribuir­e l’Università di Lecce, dove operano archeologi di grande competenza ed esperienza su questi temi. Anche perché, a meno che non si adotti per tempo quella strategia di contenimen­to dell’epidemia che nel Salento non è stata purtroppo tentata, il dilagare della xylella obbligherà ad affrontare questa peste del nostro tempo anche in altre aree. In ogni caso, il Salento è e sarà nei prossimi anni una (gigantesca) cartina di tornasole di quel che le istituzion­i pubbliche e la buona volontà dei cittadini vorranno o non vorranno fare per salvaguard­are i paesaggi storici. Una tutela che, non dimentichi­amolo, in Italia non è solo questione di gusti o di estetica. È un problema di legalità, anzi di legalità costituzio­nale.

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Il Salento è e sarà nei prossimi anni una gigantesca cartina al tornasole di quello che le istituzion­i pubbliche vorranno fare per salvaguard­are i paesaggi storici. «È un problema sottolinea Salvatore Settis di legalità, anzi di legalità costituzio­nale»
FOTOGRAMMA Ulivi in agonia Il Salento è e sarà nei prossimi anni una gigantesca cartina al tornasole di quello che le istituzion­i pubbliche vorranno fare per salvaguard­are i paesaggi storici. «È un problema sottolinea Salvatore Settis di legalità, anzi di legalità costituzio­nale»

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