Il Sole 24 Ore

Altro che fuoco, la vittoria è il dialogo

Ernesto Ferrero. San Francesco e l’incontro col sultano Malek-al-Kamil

- Gino Ruozzi

Con Francesco e il Sultano Ernesto Ferrero prosegue con coerenza la riflession­e narrativa sul tema della storia e del suo racconto. Tutti i libri di Ferrero hanno questo essenziale filo conduttore, da Cervo Bianco (1980) a Barbablù (1998, su Gilles de Rais), N. (2000, su Napoleone), I migliori anni della nostra vita (2005, su Giulio Einaudi), Disegnare il vento (2011, su Emilio Salgari ), Amar cord bianconero (2018, sulla Juventus e la città di Torino ). Con Francesco e il Sultano la posta è ancora più impegnativ­a, perché Ferrero parla di uno dei protagonis­ti assoluti della storia e della cultura mondiale, al centro da sempre di un primario e ininterrot­to dibattito religioso e civile.

Il punto di partenza è un celebre falso storico e artistico: la rappresent­azione dell’incontro di San Francesco con il sultano d’Egitto Malek-al-Kamil nel 1219, a Damietta, nel corso della quinta crociata. L’episodio è immortalat­o dall’undicesimo affresco sulla vita del santo nella Basilica superiore di Assisi, tradiziona­lmente attribuito a Giotto. La raffiguraz­ione è centrata sulla cosiddetta «prova del fuoco» che avrebbe contrappos­to fede cristiana e islamica. Per stabilire la verità e convertire il sultano, Francesco avrebbe invitato prima i sacerdoti e poi il sultano stesso a sottoporsi con lui alla prova del fuoco, che avrebbe decretato con certezza chi era il vero Dio. È la stessa prospettiv­a proposta da Dante nell’undicesimo canto del Paradiso (pure il parallelis­mo tra l’undicesimo affresco e l’undicesimo canto è emblematic­o), in cui Francesco «per la sete del martiro, / ne la presenza del Soldan superba / predicò Cristo e li altri che ’l seguiro / e per trovare a conversion­e acerba / troppo la gente e per non stare indarno, / redissi al frutto de l’italica erba» (vv. 100-105). È sostanzial­mente il racconto di un fallimento: Francesco non è riuscito a convertire il sultano e, sul piano della fede, torna in Italia sconfitto. La colpa però non è del coraggioso Francesco ma della vigliacche­ria del sultano che non ha voluto affrontare la decisiva «prova del fuoco».

In realtà le cose non si svolsero così. Francesco non propose al sultano la prova del fuoco perché per lui convertire non voleva dire conquistar­e, sottomette­re, vincere. Il suo obiettivo era amare e abbracciar­e Dio nella persona di Cristo. Per questo si era spogliato delle ricchezze materiali e intellettu­ali e aveva sposato la povertà, gli ultimi, i minori, i lebbrosi. Accompagna­to dal discepolo Illuminato, col sultano Francesco parlò di Dio e dei« novantanov­e no midi Allah », cercando sì di convertirl­o mari spettandon­e la diversa fede religiosa. La cordiale conclusion­e dell’incontro è affidata da Ferrero alla voce del sultano: «In questi giorni nessuno di noi ha cercato di prevalere o di ottenere una facile vittoria. Il venerabile al-Farisi, i miei dotti e voi medesimo avete parlato con sapienza e amabilità, le vostre parole mi son ostate di nutrimento. La nostra vittoria è stata il buon animo con cui abbiamo cercato quello chela vostra e la nostra fede hanno in comune ». Nel sanguinoso tumulto delle guerre di ogni tempo il messaggio di ascolto e di confronto è inequivoca­bile.

Come di consueto, la narrazione di Ferr ero passa per un’ altra cronaca basilare, quella della prima biografia di Francesco scritta da Tommaso da Celano. È la biografia degli albori, quella delle voci ancora vive, dei testimoni diretti; il punto di vista (pur sempre molteplice e anche contraddit­torio) degli atti dei discepoli, quelli che per primi avevano condivisol­o scandalo mondano del miracolo francescan­o. Un’ esplosione di fede e di conversion­i basata non su prodigi ed eventi eccezional­i ma sulle scelte concrete e quotidiane, aspre e dolorose eppure persuasive e felici. Al cuore della narrazione di Tommaso da Celano c’è l’ uomo Francesco, non la sua figura mistica e allegorica, quella chela propaganda dell’ ordine francescan­o promosse con l’ unica biografia autorizzat­a di Bonaventur­a da Bagnoregio, dal 1257 ministro generale dell’ordine e autore della canonica Legenda maior Sancti Francisci (1263).

Raccontare la storia è interpreta­rla. La storia di San Francesco è stata narrata innumerevo­li volte ed è tuttora nodale e imprescind­ibile, il nostro tempo non può farne a meno. I problemi posti da Ferrero sono tanti e cruciali. Ogni narratore, testimone diretto o indiretto, propone personali ricostruzi­oni e letture dei fatti, ogni biografia è anche autobiogra­fia. La verghiana «mano invisibile» dell’autore non esiste; ogni mano rivela un timbro originale, in buona e in cattiva fede.

Anche l’arte ha le proprie esigenze espressive, come spiega Giotto all’inatteso interlocut­ore finale che gli chiede conto di quell’ improbabil­e fuoco: «Dell’incontro con il Sultano parlava volentieri, ma della prova del fuoco non ha detto parola». Il pittore replica: «È così importante, questo dettaglio che vi ossessiona tanto?»; «Gli uomini stanno nei dettagli, – sorrise debolmente il vecchio»; per chiudere infine il dialogo con la giustifica­zione artistica e antirealis­tica di Giotto: «Parlo da pittore. Senza il fuoco l’intera scena non regge. È stata pensata in funzione di quello. L’incontro con il Sultano così come lo racconta Tommaso da Celano non è rappresent­abile».

Questi sono alcuni dei molti motivi presenti nel libro diFerrero,ch esi distingue per necessità morale, lucidità politica e qualità estetiche ragguardev­oli.

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