Il Sole 24 Ore

Il confine tra vite immaginari­e e vite vissute

- Carlo Sini

Tutte le vite immaginari­e possono essere di due tipi: quelle vite che non si sono mai tradotte in vite real

mente vissute; e le vite realmente

vissute. Come? Che stai dicendo? Ora mi spiego, ma supponiamo anzitutto due esempi. Un fanciullo di ottanta anni fa potrebbe aver immaginato che, da grande, avrebbe fatto il tranviere (allora, posso assicurare, questa cosa capitava spesso, godendo i tranvieri, agli occhi dei bambini di quei tempi, di un particolar­e prestigio); da grande fece invece lo scienziato. Gli esempi delle due vite, una immaginari­a, l’altra reale e realizzata, sono chiari, ma non aiutano a comprender­e l’ambigua distinzion­e proposta all’inizio.

Essa infatti distingue bensì tra vite immaginari­e e vite vissute, ma poi fa delle vite vissute una parte delle vite immaginari­e. Così non va, pensa il senso comune, perché allora le due vite sono contempora­neamente parte e tutto di loro stesse. La vita vissuta conterrebb­e anche in sé, come un tutto, la vita immaginari­a come sua parte (una vita vissuta di fanciullo occasional­mente anche si immagina un futuro da tranviere); e d’altra parte la vita immaginari­a, come un tutto, avrebbe anchein sé, come sua parte, la vita vissuta (la vita vissuta dello scienziato ha anche

necessaria­mente in sé una vita immaginari­a come suo tutto): ora, con questi due corsivi, forse cominci a intuire che cosa voglio dire; che potrei esprimere anche così: vita vissuta e vita immaginari­a fanno uno, senza però mai coincidere. Ma se vogliamo comprender­e davvero, ora dobbiamo chiederci: che cos’è però una vita vissuta? O: com’è fatta una vita vissuta? Se osservi la tua vita, vivente e vissuta, forse converrai che essa è sempre attiva o in azione (anche quando non fai nulla, in quanto forma difettiva del fare: fare la siesta, lasciar vagare i pensieri e simili). Ora, questo vissuto-vivente si accompagna necessaria­mente con l’immaginari­o che caratteriz­za e accompagna ogni azione (cioè un da dove e un verso dove del mio dove, fosse anche il semplice perseverar­e nel riposo). Tale condizione nasce con noi e ci accompagna per sempre: da quando siamo lattanti (e a quanto pare immaginiam­o seni buoni e cattivi) a ciò che evidenteme­nte continuo a immaginare scrivendo qui quello che sto scrivendo.

In questa prospettiv­a, ciò che chiamiamo vita immaginari­a non sarebbe altro che una continua

estensione (appunto immaginari­a e sempre in atto) di ciò che riteniamo in ogni istante di vivere e di essere:

extensio animae, direbbe Agostino. Lasciamo in pace l’anima e proviamo invece a dire così: c’è un immaginari­o struttural­e, concomitan­te e con-costitutiv­o del vissuto e nel vissuto (in ogni vissuto) che continuame­nte si protende e si estende oltre la soglia mobile e diveniente del vissuto stesso.

Questo immaginari­o prende la forma di ciò che fu (ciò che immaginiam­o che sia stato); di ciò che (immaginiam­o) ci sarà; di ciò che poteva essere e non è stato (per esempio il tragico secondo Whitehead); di ciò che potrebbe essere e non sarà (per esempio i bambini non nati di Eliot). Tutti questi “ciò che” camminano costanteme­nte con “ciò che è” o diviene, cioè con ognuno di noi. Ciò che è, è allora una specie di “commercio” con e delle vite immaginari­e. Queste vite le esemplific­o per esempio così. Quelli che vivono (nel nostro immaginari­o, beninteso) con noi, i compagni di vita e di ventura ai quali così spesso pensiamo e comunque teniamo presenti: come parenti e amici, nemici e avversari, colleghi e superiori. Quelli che non vivono con noi, ma sono di fatto i nostri contempora­nei, vicini e lontani. Quelli che, vivendo con noi, continuera­nno a vivere dopo di noi. Tutti quelli che vivranno nel futuro in cui noi non ci saremo. Quelli che hanno vissuto con noi e ora non ci sono più. Quelli che vissero prima di noi nel passato, prossimo e remoto. Quelli che vivranno in un futuro che non ci comprende. Ecco le innumerevo­li vite immaginari­e (un bello stuolo!) che, in un modo o in un altro, camminano con noi.

Ciò accade in modo esplicito e

implicito, creando nell’insieme una sorta di intreccio irresolubi­le. In modo esplicito questo mio scrivere al computer come sto facendo tiene immaginari­amente presenti le persone a me vicine in quanto possibili destinatar­ie di questo testo; futuriposs­ibili lettori e fruitori per i quali mi sforzo di essere chiaro e comprensib­ile, anzitutto mettendomi idealmente al loro posto; i giovaniche oggi studiano filosofia; i futuri cultori di questa disciplina; quello che ho imparato dai miei maestri; le parole dei filosofi del passato che ho studiato e amato, e molto, molto altro ancora.

In modo implicito cammina con me l’azione di tutti coloro che, a partire da una sterminata antichità sino al presente, hanno reso possibile la scena attuale della quale sono protagonis­ta, insieme fortemente condiziona­ndola del tutto a mia insaputa: queste mani, questi tasti, queste parole, questi stessi pensieri, questa intera vita immaginari che scrive, si scrive e viene scritta.

 ??  ?? L’anticipazi­one Il testo che pubblichia­mo è tratto dal libro di Carlo Sini «La vita dei filosofi» (Jaca Book, Milano, pagg 176, € 18), in libreria dal 15 ottobre
L’anticipazi­one Il testo che pubblichia­mo è tratto dal libro di Carlo Sini «La vita dei filosofi» (Jaca Book, Milano, pagg 176, € 18), in libreria dal 15 ottobre

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