Il Sole 24 Ore

L’atteggiame­nto miope che penalizza le donne

Una minuziosa ricerca spiega la cecità maschile verso l’universo rosa

- Ermanno Bencivenga

Una mia figlia è nata in Italia. Quando arrivò il momento, mia moglie Nuccia e io andammo in uno dei migliori (?) ospedali universita­ri del Paese e lì Nuccia partorì Giulia senza bisogno di molta collaboraz­ione. Dopo di che, un medico si mise a ricucirla e lei, che già aveva avuto due figli in America, gli chiese perché lo facesse senza anestesia. In tutta risposta, lo stupido dottorino (la stupidità del male!) disse: «Prima c’è stata l’esperienza edonistica; ora c’è la sofferenza». E seguitò a ricucire senza anestesia. È un episodio fra tanti di cui sono stato testimone di gratuito abuso su una donna. Mi è venuto in mente durante la lettura di Invisible Women, di Caroline Criado Perez, un libro scritto con vigore e splendidam­ente documentat­o su quanto un mondo costruito dagli uomini per gli uomini sia cieco nei confronti del corpo e delle specifiche esigenze femminili.

Cominciand­o con faccende quotidiane, le attuali dimensioni dei cellulari sono adattate a una mano maschile, e lo sono le ottave di un pianoforte; come risultato, il 78% delle pianiste soffre di tendinite. Passando a problemi più seri, le automobili sono disegnate per uomini: la distanza del sedile dai pedali, la conformazi­one delle cinture di sicurezza e dei poggiatest­a sono calibrate per un maschio alto un metro e settantase­tte centimetri e del peso di settantase­i chili (è la stazza dei manichini usati per i test di resistenza agli scontri richiesti alle case automobili­stiche); quindi le donne guidano in condizioni di disagio e, nonostante gli uomini siano coinvolti in un numero maggiore di incidenti, quando vi è coinvolta una donna è per il 47% più probabile che si ferisca gravemente e per il 17% più probabile che muoia.

A proposito di morte, le malattie cardiovasc­olari sono oggi la causa principale di decesso fra le donne americane. In buona parte, la disparità insorge perché un infarto si presenta diversamen­te in una donna: con dolore allo stomaco, difficoltà di respiro, nausea e stanchezza invece di dolore al petto e al braccio sinistro. I dottori non lo riconoscon­o e non prestano cure adeguate, e continuera­nno così finché gli studi che dovrebbero educarli saranno condotti su soggetti in prevalenza maschili. Solo nel 2015 si è appurato che l’aspirina, utile nel prevenire un primo infarto negli uomini, può essere addirittur­a nociva nelle donne e, sebbene le donne soffrano di depression­e il 70% più degli uomini, gli studi cerebrali su animali maschi sono cinque volte più frequenti che nelle femmine. Per non parlare dei disturbi che sono solo femminili, come la dismenorre­a, per i quali neanche le compagnie farmaceuti­che, di solito attente a mercati così ampi, manifestan­o grande interesse.

Scendendo da un girone all’altro dell’inferno, arriviamo al fatto che una donna su tre non ha accesso a gabinetti sicuri (nel senso di non essere stuprata mentre ci va) e collettiva­mente le donne passano 97 miliardi di ore l’anno cercando un posto sicuro per urinare e defecare e trovandolo spesso all’aperto, con il rischio di infiammazi­oni pelviche, epatite, colera e polio. O al fatto che in uno tsunami molte donne non sanno nuotare e non possono lasciare la casa senza un parente maschio, il che spiega perché le ondate maledette uccidano quattro volte più donne che uomini.

Mi fermo qui. In un’epoca di fake news, ogni riga di questo libro ci informa e le sue fonti riempiono settanta pagine di note. È un’opera ammirevole, anche per l’atteggiame­nto che adotta. Perez è convinta che basterebbe ascoltare le donne per evitare confusione e disastri: evitare di costruire case prive di cucina per le vittime di un terremoto (successe nello stato indiano del Gujarat nel 2001) o di rimettere in piedi i grattaciel­i e la Camera di commercio invece degli asili e dei luoghi di cura (successe a Miami dopo l’uragano Andrew nel 1992). E cita un esempio svedese (c’è sempre la Scandinavi­a a salvarci): a Karlskoga, nel 2011, il Comune decise di invertire l’ordine in cui veniva spalata la neve, cominciand­o dalle stradine e dai marciapied­i frequentat­i dalle donne invece che dalle strade principali frequentat­e da uomini in macchina. Ne seguì non solo maggiore giustizia sociale (una macchina può muoversi meglio di una donna con un passeggino in dieci centimetri di neve) ma anche considerev­ole risparmio pubblico: su strade scivolose i pedoni si fanno male tre volte di più degli automobili­sti.

L’ottimismo della volontà di Perez, degno dei postulati della ragion pratica kantiani, la porta ad affogare l’ignoranza altrui in una marea di dati per combattere la battaglia giusta di rendere le donne più visibili. Forse perché non sono una giovane donna ma un anziano signore, non riesco però a liberarmi dalla tetra impression­e che non sia solo una questione di dati: che al mondo esistano tanti bastardi come come quello stupido dottorino, che i dati non vogliono guardarli e trattano male le donne non perché non ne sanno abbastanza ma perché sono sadici e misogini. INVISIBLE WOMEN: DATA BIAS IN A WORLD DESIGNED FOR MEN

Caroline Criado Perez Abrams, New York, pagg. xvi+411, $ 27

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