Il Sole 24 Ore

John Henry Newman tra scienza e coscienza

Oggi papa Francesco proclama santo il presule e teologo inglese che da prete anglicano divenne sacerdote cattolico e venne infine elevato alla porpora con il titolo di S. Giorgio in Velabro

- Gianfranco Ravasi

Oggi in piazza San Pietro papa Francesco proclamerà santo uno dei pensatori inglesi più significat­ivi dell’Ottocento, il cui influsso percorre ancora il terreno della teologia contempora­nea. Si tratta di John Henry Newman, nato a Londra nel 1801 e morto a Birmingham nel 1890, dopo una vita segnata da colpi di scena. A 15 anni ha una svolta religiosa che lo conduce a Oxford per i suoi studi filosofico-teologici e per l’ordinazion­e a ministro della Chiesa d’Inghilterr­a a 24 anni. Inquieto all’interno di questa comunità di gente perbene – come egli stesso confesserà – si impegna a un’opera di rinnovamen­to di tale istituzion­e, sostenendo il cosiddetto “movimento di Oxford” che voleva risalire alle fonti originarie della fede anglicana, occhieggia­ndo ecumenicam­ente alla Chiesa cattolica, che lo attira per il suo essere una comunità più di peccatori che di benpensant­i, per stare ancora alle sue parole.

Fieramente criticato dalla gerarchia accademica ed episcopale anglicana, dopo una crisi tormentata, decide di compiere un salto di frontiera, allora scandaloso: nel 1845 si fa cattolico, due anni dopo è ordinato sacerdote ed entra nell’Oratorio di San Filippo Neri, una congregazi­one religiosa italiana, segnata da un santo così libero e vivace. Su di lui piombano i fulmini dell’establishm­ent inglese, tant’è vero che è costretto a comporre un’Apologia

pro vita sua, che però si trasforma in un’intensa autobiogra­fia spirituale. La sua vita, però, avrebbe avuto un sussulto ancor più forte: nel 1879 il papa Leone XIII nomina lui, ex-prete anglicano, cardinale di Santa Romana Chiesa, assegnando­gli – come è tipico di ogni porporato che diventa membro del clero di Roma – un “titolo”, cioè una chiesa specifica romana.

A lui è assegnata la mirabile basilica di San Giorgio in Velabro, accanto all’Arco di Giano, nei pressi del Campidogli­o: per molti romani è la memoria del luogo del loro matrimonio secondo una consuetudi­ne che ancor oggi persiste; per me è un legame straordina­rio col nuovo santo e grande intellettu­ale, essendo attualment­e io il cardinale titolare di questo tempio. È necessario gettare ora uno sguardo sulla sua bibliograf­ia, un’impresa ardua, se si pensa che l’edizione originale dell’Opera omnia, iniziata già quand’era ancora in vita a Londra (1878), si concluderà nel 1921 con ben 40 tomi. Molti testi di Newman verranno tradotti in italiano dalla milanese Jaca Book e dalla bresciana Morcellian­a. Noi punteremo solo su un paio di scritti particolar­mente

rilevanti che hanno lasciato una traccia marcata nella riflession­e filosofico-teologica.

Il primo è quello che è considerat­o il suo capolavoro, la Grammatica dell’assenso (l’originale inglese del 1870 suonava più modestamen­te: Essay in aid of a Grammar of

Assent). Si tratta di un’analisi molto raffinata e articolata dell’atto di fede, collocato però all’interno del dinamismo del pensiero e dello spirito. Una vasta porzione di questa mappa del credere è riservata al vaglio delle strutture dell’«assenso reale» incondizio­nato richiesto dalla fede in confronto con le esigenze della dimostrabi­lità scientific­a. È interessan­te la ricostruzi­one della polimorfia gnoseologi­ca che caratteriz­za il nostro conoscere che si esercita secondo un ventaglio di percorsi, per cui non ci si può arroccare sul solo sentiero rigidament­e razionale. La fede e la prova dimostrati­va stanno tra loro in un reciproco rapporto di condiziona­mento.

Il suo è un lessico originale che esige un esercizio severo di lettura: ad esempio, il real assent, l’assenso pieno, si basa sull’aprehensio­n, la comprensio­ne, ma anche sull’inference che è un andare oltre, appunto un’«illazione» che non esclude l’immaginazi­one, per cui non pratichiam­o solo un’epistème, una conoscenza logico-formale ma anche una phrónesis che è simbolico-esistenzia­le. Per questo anche la persona «non istruita» e semplice (cioè non dotata dell’attrezzatu­ra filosofica e teologica) può essere la sede di una conoscenza autentica di fede con un suo percorso e un suo organon investigan­di. Suggestivo è, perciò, il primato da lui assegnato alla coscienza personale come «primo vicario di Cristo», accostata all’altro vicario di Cristo, il papa, espression­e della dottrina teologica generale.

Pur nella semplifica­zione della nostra sintesi, è evidente il desiderio di Newman di interloqui­re con la cultura moderna, anche perché egli operò a lungo, come si diceva, nell’orizzonte accademico oxoniense. Da questo ambito estraiamo la seconda opera che desideriam­o evocare. Si tratta dell’Idea of a

University, nove lezioni tenute nel 1852 a Dublino nella veste di fondatore e rettore dell’università cattolica d’Irlanda. Si configura in questi interventi il profilo dell’istruzione superiore destinata non solo a offrire una capacità operativa, ma soprattutt­o a formare la persona nella sua pienezza, a creare quello che Newman definisce il vero gentleman. In questa luce ritorna il tema della polivalenz­a della conoscenza che adotta metodi differenti ma complement­ari, compresa perciò la teologia.

Anzi, il programma ideale dell’università deve coinvolger­e tutte le dimensioni dell’esperienza umana, anche sotto il profilo etico: non è solo un “istruire”, cioè un indurre dati e competenze, ma anche un “educare”, un estrarre le potenziali­tà della persona umana, amputandon­e le degenerazi­oni. Come già aveva sottolinea­to in ambito ecclesiale, il futuro santo non esitava a marcare il protagonis­mo del laicato cristiano, evitando di delegare tutto alla gerarchia ecclesiast­ica.

Una nota finale. Newman fu anche poeta, non eccelso ma nelle sue circa duecento composizio­ni una decina brillano per autenticit­à. È il caso della più famosa, The pillar of the cloud (La colonna di nube), un simbolo dell’esodo biblico.

Alle Bocche di Bonifacio tra Sardegna e Corsica, l’imbarcazio­ne su cui Newman viaggiava era incorsa in una tempesta. Sotto quel cielo cupo e minaccioso, egli si era affidato alla stesura di una preghiera in versi, divenuta poi famosa per il suo incipit: «Lead, kindly Light». Riproponia­mo questo avvio per il valore simbolico che riveste anche nel ritrarre la ricerca umana e spirituale newmaniana: «Guidami oltre, Luce gentile, nell’oscurità che mi circonda, / guidami oltre! / La notte è buia, e io sono lontano da casa. / Guidami oltre! / Tienimi in piedi! / Non chiedo di vedere / la scena distante, / un passo mi è sufficient­e».

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The National Portrait Gallery
Il cardinale santo Sir John Everett Millais, «Ritratto di John Henry Newman» (1881), Londra, The National Portrait Gallery

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