Capodimonte
Non si potrebbe immaginare una sede più adatta per questa originale rassegna dello spettacolare Palazzo Antinori, uno dei luoghi simbolo di Firenze, che ha aperto per la prima volta le grandi sale del piano nobile a una mostra. Questo gioiello del Rinascimento, tra le cui mura poderose è depositata tanta parte della storia della città, è diventato, grazie all’iniziativa congiunta e alla passione della famiglia Antinori e dell’Istituto Matteucci, il suggestivo scenario per intrecciare le vicende artistiche di un padre poco noto e di un figlio famoso, cioè di Giovanni (1808-1864) e Telemaco Signorini (1835 -1901). L’occasione decisiva per mettere finalmente a fuoco l’identità di questa dinastia d’artisti è stato il fortunato, quanto sensazionale, ritrovamento di un voluminoso carteggio inedito tra i due e un altro figlio, minore, Paolo. Sulle sue orme si sono mossi con sicurezza di due curatori Silvio Balloni e Elisabetta Matteucci.
Giovanni Signorini, insignito del lusinghiero soprannome che forse ne ha ampliato oltre misura i meriti di «Canaletto fiorentino», è stato un assai garbato, e forse un po’ attardato, vedutista al servizio del Granduca Leopoldo di Lorena negli anni in cui Firenze e la Toscana furono un’ oasi serena in un’Italia altrove scossa dalle inquietudini risorgimentali, di cui proprio Telemaco dovrà farsi interprete, traducendole in una pittura sempre in prima linea nel rivendicare un nuovo approccio al mondo. Questo figlio d’arte, come anche il grande amico ferrarese Boldini, amava ricordare di essere stato costretto a seguire proprio dal genitore, nonostante una forte vocazione per le lettere, la carriera pittorica, dove però riuscì subito a dimostrare la sua indole ribelle. Fu infatti il primo, della nuova generazione dei postromantici, a rompere con le regole e a inventare un nuovo modo di vedere e di rappresentare la realtà, elaborando quel procedimento della “macchia” che,diversi anni prima delle rivoluzionarie sperimentazioni degli Impressionisti, aveva sconvolto le regole accademiche tradizionali.
Scrittore per vocazione, di quella grande razza dei toscani nitidi e mordaci come i contemporanei Carlo Collodi e Renato Fucini, ha saputo difendere sempre con invidiabile forza polemica le proprie scelte e quelle dei suoi compagni di strada, senza peraltro prendersi e prenderli mai troppo sul serio. Non c’era infatti «nulla di sacro per quella bocca infernale dai bei denti d’ebano». Proprio come una specie di squalo dalla dentatura smisurata e affilata lo aveva rappresentato nel 1867 l’amico Cecioni nella sua celebre rappresentazione satirica del Caffè Michelangelo, il leggendario luogo di ritrovo dei Macchiaioli a Firenze.
Fa la sua comparsa in mostra attraverso lo straordinario ritratto, che non si vedeva più dal 1926, del sodale Vito D’ Ancona. Siamo nel 1855 ed ha appena vent’anni, ma sembra già mostrare, dietro gli occhiali tondi e sotto il berretto di feltro calato sulla fronte, quella implacabile determinazione che lo porterà a essere il leader, con le sue scelte iconografiche e formali estreme (fino a rappresentare gli interni di un manicomio femminile, di un carcere e di un bordello), ma anche con i suoi scritti di critico e fiancheggiatore, dello schieramento macchiaiolo. La rassegna illustra, nelle sue otto sezioni, alcune tematiche da loro predilette, rievocando luoghi e persone. Ai suoi dipinti sono affiancati quelli dei contemporanei, come Fattori, Borrani, Puccinelli, Sernesi ed altri, con alcune interessanti scoperte. Rendendo la mostra particolarmente adatta alla sede che la ospita, vengono documentate le trasformazioni di Firenze dall’atmosfera placida e come senza tempo degli anni della Restaurazione, ben rappresentata nelle vedute panoramiche e un po’ arcadiche del padre Giovanni, al fermento della Firenze trasformata, anche se per un breve periodo in attesa della liberazione di Roma, in capitale del nuovo stato unitario.
Signorini e i Macchiaioli sono stati gli interpreti, polemici e nostalgici, di una realtà urbana e sociale che andava scomparendo sotto una sorta di omologazione agli standard delle altre capitali europee. Anche se, dobbiamo riconoscerlo, questa modernizzazione non è riuscita a cancellare il fascino antico della “città gioiello” che continuava ad attirare viaggiatori e residenti stranieri tra cui anche Signorini trovò tra i suoi più convinti estimatori. Viaggiatore colto e curioso, ha saputo esportare un’immagine non banale di Firenze e della sua anima più autentica e nascosta, catturandone le luci e le ombre al di fuori dei percorsi che il turismo più convenzionale andava inesorabilmente segnando.
Il Museo e Real
Bosco di Capodimonte a Napoli ospita fino al 21 giugno 2002 la mostra Napoli Napoli. Di lava,
porcellana e musica, curata di Sylvain Bellenger con catalogo
Electa.
Le 19 sale dell’Appartament
o Reale sono state riallestite in una spettacolare e coinvolgente
scenografia ideata dall’artista Hubert le Gall come fosse la regia di un’opera
musicale. Filo conduttore della mostra è infatti la
musica, che si ascolta passando di sala in sala. L’allestimento
racconta attraverso 1000
oggetti (porcellane, costumi teatrali,
strumenti musicali, dipinti, oggetti d’arte e di arredo, minerali e
animali tassidermizzati) la storia musciale artistica di Napoli
capitale del Regno, dagli anni
di Carlo III di Borbone a quelli di Ferdinando II