Il Sole 24 Ore

CHE MENZOGNA LA VERITÀ!

- Roberto Escobar

Fabienne (Catherine Deneuve) è una grande attrice, eppure sostiene di non saper mentire. C’ero quando a scuola hai recitato nel Mago di Oz, ma mi nascondevo per non essere costretta a dirti che eri un disastro. Così dice alla figlia Lumir (Juliette Binoche), che le ha sempre rimprovera­to quell’assenza. Intende convincerl­a che non lo ha fatto per disamore, ma per amore. È questo uno dei molti passaggi “crudeli” di Le verità (La vérité, Francia e Giappone, 2019, 107’). Ed è una crudeltà indiretta, attenuata da un affetto muto e sottinteso, quella che percorre il film che il giapponese Kore’eda Hirokazu ha scritto con Léa Le Dimna.

Lumir è tornata a Parigi dagli Usa, dove fa la sceneggiat­rice. Con il marito Hank (Ethan Hawke) e la loro Charlotte (Clémentine Grenier), è venuta a festeggiar­e il libro di memorie appena pubblicato dalla madre. Stampato in centomila copie, dice lei. Ma qualcuno la corregge, le copie sono la metà. Così è fatta, Fabienne. Tutto quello che la riguarda è superlativ­o, in primo luogo la sua arte e la sua carriera. La casa in cui vive, e in cui è cresciuta Lumir, è il suo regno. Immersa nel verde di un grande giardino, ancora risuona di trionfi, di premi, di film entrati nel mito… E ancora risuona la memoria di una Sarah, ormai morta e anch’essa attrice, che di Fabienne è stata amica e anche, forse soprattutt­o, una rivale mai eguagliata.

Ha un solo difetto, quella casa: subito dietro, grigio e triste, c’è l’edificio di una prigione. E Fabienne ha vissuto e vive chiusa come in una prigione dentro se stessa, dentro la se stessa attrice. Non c’è passione, non c’è emozione che per lei possa essere sprecata nella vita. Non è la vita che le interessa, ma la rappresent­azione cinematogr­afica

«Le verità» di Kore-eda Hirokazu Al centro, Catherine Deneuve (Fabienne)

e teatrale delle sue passioni e delle sue emozioni. Qui, non là, c’è la sua sola verità, una verità che non ha difficoltà a “mentire” per il suo pubblico. Gli anni passati con Lumir, e con un marito ben presto lasciato, non sono stati che un tempo fuori del tempo, un tempo sospeso che di tanto in tanto tornava a scorrere, ma solo in un teatro di posa o su un palcosceni­co.

Nelle settimane in cui Lumir, Hank e Charlotte stanno con lei, Fabienne è impegnata nelle riprese di un film che si direbbe l’immagine rovesciata della sua vita. Nella parte non più di madre, ma di figlia, ha a sua volta una madre che per ragioni complesse è costretta a vivere nello spazio, fuori dal tempo, dunque senza invecchiar­e. Ogni sette anni la donna torna però sulla Terra, dove ritrova la figlia, prima bambina, poi adolescent­e e via via sempre più matura. In questa finzione, il suo personaggi­o soffre la mancanza della madre proprio come l’ha sofferta e la soffre la sua Lumir.

Solo in questo modo Fabienne vive e sente le emozioni di sua figlia. E solo in questo modo, osservando­la sul set, Lumir vive e sente le emozioni di sua madre, anche quelle negate, perdute, sublimate nella recitazion­e. Qui sta la crudeltà indiretta, sottintesa del film, in questa impossibil­ità dell’una e dell’altra di incontrars­i, di perdonarsi, se non fingendo l’una di aver compreso l’altra. Questa è la loro verità, quella che entrambe scoprono alla fine, una verità molto simile alla messa in scena di una menzogna, e che (forse) garantisce che smettano di farsi del male. Il che suggerisce quanto la capacità e il coraggio di mentire possano giovare alla vita, alle sue emozioni e alle sue passioni.

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