Antica (e attuale) storia di massacri
Fa una certa impressione entrare a teatro con gli occhi e la mente ancora pieni delle immagini di guerra e di devastazione di questi giorni per trovarsi in una storia di invasioni e di massacri più antica, che si svolge nelle stesse terre degli avvenimenti di oggi. Anche perché le tragiche gesta della conquista di Troia e in particolare quelle di Ecuba, regina della città, ci vengono narrate in una dimensione atemporale che le avvicina molto a noi, nella scrittura dell’irlandese Marina Carr, una delle voci migliori della drammaturgia contemporanea, capace di tracciare una linea di costante tensione in quelle vicende, senza risparmiare descrizioni di brutale ferocia e di torture, qui nella attenta traduzione di Monica Capuani.
Ad aggiungere un ulteriore tassello di emozione c’è il fatto che siamo al teatro Olimpico di Vicenza, davanti a una suggestione di ideale classicità, con la scenografia della Tebe di Scamozzi ferma lì da più di cinquecento anni, come un sogno raggelato di equilibrio e di grazia immaginato per una città di sofferenza e di morte.
Eccoli lì i protagonisti di questa avventura, non si parlano direttamente ma esprimono i propri pensieri e descrivono le azioni che avvengono, riportando poi l’uno le battute dell’altro e delineando così un doppio tempo, quello della realtà e quello del ricordo, quello del vivere e quello del comprendere. Ecuba, una Elisabetta Pozzi dal tratto nitido e tenace, ha visto la sua famiglia sterminata, per assistere poi all’uccisione dei suoi ultimi figli in un disegno definito con un termine che acquista, alle nostre orecchie, sinistre risonanze: un “genocidio”. Davanti a lei l’imponente Agamennone, il vincitore, che ha dato inizio a quell’epopea tragica sgozzando la figlia Ifigenia per propiziarsi gli dei, a cui fornisce un ben definito contorno Alfonso Veneroso. Ma esistono davvero queste divinità sanguinarie desiderose di orribili sacrifici? O non sono piuttosto gli impulsi di sopraffazione e di conquista dell’uomo a mettere in moto stragi e distruzioni, ieri come oggi?
La regia di Andrea Chiodi disegna il tutto sui toni di un’astrazione, cedendo a volte in qualche manierismo, ma orchestrando bene l’azione in cui tutti sono quasi sempre presenti, con Elisabetta Pozzi assorta e stupita da tanta violenza, ormai «in un luogo al di là del dolore», come indica il testo, in un delicato e preciso succedersi di minime intenzioni, di accenti, di sguardi. Intorno a lei i brividi di umanità nel duro Odisseo di Fausto Cabra, la sensibile Cassandra di Federica Fracassi, l’inquieta Polissena di Valentina Bartolo, insieme a Luigi Bignone, Alessandro Bandini, Alfonso De Vreese, Alessia Spinelli, Nicola Pighetti.