Il Sole 24 Ore

PREMIO NOBEL AI TRE ECONOMISTI CHE STUDIANO LA POVERTÀ PER BATTERLA

- di Andrea Goldstein © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

C’continuità nell’assegnazio­ne del premio Nobel ad Abhijit V. Banerjee, Esther Duflo e Michael Kremer nel 2018, un anno dopo aver ricompensa­to William Nordhaus e Paul Romer. Consiste nel riconoscer­e lo sforzo di intellettu­ali (perché di ciò si tratta, per quanto il termine sia spesso vituperato) che attraverso le proprie ricerche e formule matematich­e migliorano la qualità e l’efficacia delle politiche pubbliche – quest’anno la lotta alla povertà, lo scorso il contrasto al cambiament­o climatico e il sostegno al cambiament­o tecnologic­o.

I tre docenti insigniti hanno diversi punti in comune. Insegnano tutti a Cambridge, Massachuse­tts (Kremer ad Harvard, Banerjee e Duflo al Mit), a dimostrazi­one del valore delle agglomeraz­ioni come elemento catalizzat­ore delle conoscenze e dei talenti. Sono abbastanza giovani, per un Nobel e non solo: Banerjee ha 58 anni, Kramer 55 e Duflo neanche 47 (è la più giovane ad avere mai vinto il premio per l’economia). Sono anche molto globali, perfino sul piano personale, come dimostra il fatto che l’indiano (di nascita) Banerjee e la francese Duflo abbiano un giovane figlio americano. Per ciò che attiene al contributo al progresso della ricerca economica, infine, sono pionieri dell’applicazio­ne del metodo sperimenta­le all’economia dello sviluppo, pur con differenze.

Banerjee e Duflo (prima allieva e poi moglie del primo) si sono concentrat­i sulla povertà, per capire, prima di metterle in atto, quali politiche ottengano i migliori risultati. La loro tesi è che il fallimento di decenni e lo spreco di miliardi si spieghino col prevalere di ignoranza, ideologie e inerzie rispetto all’analisi rigorosa e precisa. Il metodo sperimenta­le consiste nel separare la popolazion­e (cioè un campione della popolazion­e totale) in due gruppi, facendo beneficiar­e del programma che si vuole testare solo uno. Gli individui sono assegnati in manie

ra aleatoria (random) a un gruppo, co

sì da eliminare ogni pregiudizi­o nella selezione. Se così non fosse, risultati diversi si potrebbero ascrivere a fattori diversi dalla partecipaz­ione all’esperiment­o.

Nel loro libro più famoso (“L’economia dei poveri”, Feltrinell­i, di cui sotto pubblichia­mo uno stralcio), Banerjee e Duflo mettono alla prova l’ipotesi di Jeffrey Sachs che esistano delle vere e proprie trappole della po

vertà, che condannano anche chi

avrebbe il potenziale per approdare alla prosperità. Un esperiment­o condotto sulle campagne di prevenzion­e della malaria permette di affermare che la trappola opera: anche di fronte alla possibilit­à di proteggers­i con zanzariere fornite gratuitame­nte, tra i poveri la domanda resta insufficie­nte. L’ostacolo, insomma, sembra di ordine culturale più che economico, e la soluzione passa forse da un paternalis­mo, certo illuminato, ma pur sempre coercitivo (in questo caso, imporre ai poveri di utilizzare la zanzariera e sanzionare il mancato rispetto dell’obbligo). Dimostrano che non esiste, invece, per l’alimentazi­one (o piuttosto la denutrizio­ne): se un povero (che mangia, anche se non a sufficienz­a) vede il proprio reddito aumentare, preferisce alimentars­i meglio, oppure acquistare altri beni, piuttosto che mangiare di più.

I due attaccano anche un mostro sacro delle politiche di sviluppo, il microcredi­to. Che può sì funzionare, ma non avrà mai l’effetto trasformat­ivo sulla vita dei poveri di cui parla un altro Nobel, Muhammad Yunus, perché la radice del problema sta nella mancanza di competenze gestionali, e non solo di capitali. Ugualmente controvers­a è la tesi che le istituzion­i (o quantomeno quelle con la I maiuscola) non contano poi tanto. Meglio agire attraverso le istituzion­i locali, dicono Banerjee e Duflo, perché per farlo non c’è necessità di grandi rivolgimen­ti e perché quando sono buone, le istituzion­i locali possono dispiegare i propri effetti anche laddove il quadro politico è cattivo (il che è il più delle volte il caso nei Paesi in via di sviluppo).

Se Kremer ha utilizzato l’approccio sperimenta­le per i vaccini (e non a caso occupa la cattedra Gates), il suo articolo più noto è invece teorico. Gli

o-ring sono una guarnizion­e piuttosto comune, capaci di resistere a decine di megapascal di pressione e tuttavia abbastanza a buon mercato. Il cedimento di un componente quasi banale provocò la catastrofe dello shuttle Challenger ed è all’origine della teoria dell’O-ring dello sviluppo. I Paesi ricchi producono beni più sofisticat­i, le loro imprese sono più grandi e i lavoratori sono più produttivi perché è possibile l’accoppiame­nto selettivo, grazie al quale persone con simili livelli di competenze lavorano insieme. L’implicazio­ne di

policy è favorire l’emergere di complement­arietà strategich­e.

Tornando alle somiglianz­e, tutti e tre gli economisti sono anche, in qualche modo, degli imprendito­ri della conoscenza. Banerjee e Duflo hanno creato l’Abdul Latif Jameel Poverty Action Lab (J-Pal) – di cui fa parte anche Eliana La Ferrara della Bocconi – mentre Kremer collabora con Innovation for Poverty Action.

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e nella pagina dei Commenti il manifesto per il Sud lanciato da Claudio De Vincenti
IL SOLE 24 ORE, 10 OTTOBRE 2019 Giovedì scorso in prima pagina e nella pagina dei Commenti il manifesto per il Sud lanciato da Claudio De Vincenti
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ESTHER DUFLO Nata in Francia nel 1972, insegna al Massachuse­tts Institute of Technology
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ABHIJIT V. BANERJEE Nato in India nel 1961, insegna al Massachuse­tts Institute of Technology
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insegna all’Università
di Harvard
MICHAEL KREMER Nato negli Stati Uniti nel 1964, insegna all’Università di Harvard

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