Per la Pa un vantaggio irrazionale
Un soggetto di diritto non può estinguersi solamente sotto alcuni profili e non per altri (quelli fiscali, peraltro parziali). Basterebbe soltanto questa riflessione per comprendere quale mostro giuridico è stato creato con l’articolo 28 del Dlgs 175/14. Una società, infatti, seppure estinta giuridicamente, viene considerata esistente solo per il lato “passivo” dei rapporti con le varie amministrazioni fiscali (non solo le Entrate, visto che la norma fa riferimento ai “tributi e contributi”). Infatti, sempre in ambito tributario, la società non può, ad esempio, promuovere azioni di rimborso. Così come non può – banalmente – presentare un’istanza di accertamento con adesione. È evidente la dicotomia civilistico-fiscale che si è realizzata: giuridicamente la società non esiste, perché cancellata dal Registro delle imprese mentre essa viene a risultare giuridicamente esistente solo per essere destinataria di atti di accertamento, di liquidazione, di riscossione delle varie amministrazioni. Il fatto è che non si è capito che lo scopo della norma è stato semplicemente quello di considerare valido un atto impositivo nei confronti delle società cessate per poi azionare la responsabilità dei soci, dei liquidatori e degli ex amministratori in base a quanto dispone l’articolo 36 del Dpr 602/73. Ma, lo si ribadisce, come può reputarsi esistente la società, per risultare destinataria degli atti di accertamento e di riscossione dell’amministrazione finanziaria, quando, ad esempio, non esiste più l’assemblea, che peraltro risulterebbe legittimata a sostituire il liquidatore (l’ex liquidatore, ad essere precisi) a cui la stessa amministrazione finanziaria vorrebbe, di fatto, notificare gli atti?
Si tratta di una banale regola di buon senso, che dovrebbe essere affrontata non solo sotto il profilo della illegittimità rispetto alla legge delega di semplificazione 23/2014, come ha fatto la Ctp di Benevento, ma anche nell’ottica della (evidente ir)ragione volezza.