Di Maio lascia la guida del M5S Conte: nessun impatto sul governo
L’ex leader 5S: «Ora basta pugnalate. È finita una fase, ma non mollo il movimento» Vito Crimi reggente fino agli Stati generali, poi la successione
«È giunto il momento di rifondarsi: si chiude un’era». Così Di Maio ha annunciato ieri il 'passo indietro' da capo politico del Movimento 5 stelle. Crimi ha assunto ad interim la guida. Il premier Conte: nessun impatto, il governo durerà.
Dopo meno di tre anni Luigi Di Maio getta la spugna, si toglie molti sassolini dalle scarpe, si libera simbolicamente della cravatta e lascia l’incarico di capo politico del M5S. Tutto a quattro giorni dalle elezioni in Emilia Romagna e in Calabria. Garantendo però che il Governo «deve andare avanti» ed elogiando Giuseppe Conte, «la più alta espressione dei cittadini che non hanno mai fatto politica e si fanno Stato». Il premier ricambia, riconoscendogli il merito dei «tanti risultati ottenuti» e soprattutto rassicurando sul futuro: «La decisione di Di Maio rappresenta una tappa di un processo di riorganizzazione interna al M5S ormai in corso da tempo e che, sono persuaso, non avrà alcuna ripercussione sulla tenuta dell’Esecutivo e sulla solidità della sua squadra».
Un’affermazione dietro cui si cela l’auspicio del resto della maggioranza: che il passo indietro di Di Maio possa rafforzare l’ala pentastellata più governista e riformista, quella che guarda con favore al fronte progressista largo invocato dal Pd di Nicola Zingaretti, del quale il premier sogna per sé un ruolo di federatore.
A quel campo ampio e inclusivo non viene riservato neanche un cenno nel lungo discorso di Di Maio, che evita anche di citare la destra (e la Lega di Matteo Salvini) come il nemico da combattere. Le oltre dieci pagine che legge con fermezza e a cui confessa di aver lavorato «nell’ultimo mese» sono un programma per il rilancio del Movimento e suonano alle orecchie di molti come il preludio a una sua ricandidatura al timone del partito. «Questa è la fine di una fase ma non del mio percorso nel M5S», chiarisce all’evento pubblico organizzato al Tempio di Adriano per la presentazione dei 90 facilitatori regionali, che si aggiungono a quelli nazionali. Poi, rivendicando tutti i provvedimenti targati Cinque Stelle nel Governo Conte 1 nel Conte 2, dal reddito di cittadinanza al taglio delle pensioni d’oro, dalla riforma della prescrizione alla legge anticorruzione, annuncia: «Io non mollerò mai il Movimento, è la mia famiglia: agli stati generali ci sarò e porterò le mie idee». Un guanto di sfida a chi intenderà contendere la sua leadership.
Davanti alla platea di ministri e parlamentari pentastellati, con la comunicazione al gran completo (compreso il portavoce di Conte, Rocco Casalino), Di Maio attacca quelli che dalle retrovie lo hanno «pugnalato alle spalle»: «I peggiori nemici sono quelli che lavorano al nostro interno non per il Movimento ma per la loro visibilità». Ringrazia il presidente Mattarella, definisce Davide Casaleggio «un fratello maggiore», evoca una stagione di rifondazione del Movimento. E ai suoi, mentre lima il testo, assicura: «Non farò come Renzi». In sintesi, niente picconate al Governo, nessun doppio gioco. Anche se da Italia Viva la reazione è gelida: «Che Di Maio non sia come Renzi lo sappiamo bene, basta vedere l’autorevolezza in politica estera». Toni che rivelano le tensioni sottotraccia, ma che si confida potranno essere stemperate dalla nomina di Stefano Patuanelli a capodelegazione dei ministri M5S, che ora spetta al reggente Vito Crimi indicare. Il titolare dello Sviluppo economico è vicino a Conte e ha reso pubblica la sua preferenza per il campo progressista: una garanzia per gli alleati. Non a caso Zingaretti, pur dicendosi dispiaciuto per Di Maio, sottolinea come «anche nel M5S è arrivato il momento delle scelte».
L’incognita è però il test elettorale di domenica prossima. Nonostante il cordone sanitario intorno al Governo, un’eventuale sconfitta del Pd in Emilia Romagna potrebbe avere effetti imprevedibili sulla tenuta della maggioranza. Salvini affonda il coltello nella piaga. «Il Governo è finito», afferma. E “salva” Di Maio: «Io non me la prendo con lui, che ha trentatré anni ma con il signor Grillo che ha portato alla fine dei Cinque stelle. Perché questa è la fine del M5S». Anche Giorgia Meloni, da Fdi, sostiene di assistere «alle battute finali di un Governo fantoccio nato nel palazzo».
Di certo il fiato è sospeso, le decisioni congelate. Da lunedì, in attesa della verifica sul cronoprogramma, il Governo dovrà sciogliere i tanti nodi rinviati, dalla revoca della concessione ad Autostrade al destino della nuova prescrizione. Per difenderla, Di Maio già si dice pronto «a scendere in piazza».