Il Sole 24 Ore

I TENTATIVI DI SCACCIARE LA PROFEZIA DELLA FINE

- Di Lina Palmerini

«Non è finita», ha ripetuto Di Maio nel suo discorso di addio. In realtà è questa la domanda per il Movimento, se la storia si stia davvero per concludere, come prevedono alcuni, oppure se c’è una strada, un modo per sopravvive­re. L’orientamen­to prevalente, ma non unanime, dice che il primum vivere - oggi - per i 5 Stelle sia tutto concentrat­o sul Governo e su Conte. Quello del premier è l’unico nome che l’ormai ex capo politico ha fatto nel suo intervento – oltre quello di Mattarella – così come ha ribadito che l’Esecutivo va avanti. Dunque è questo il calcolo. Tenere in vita il più possibile il Conte II e nel frattempo tentare una rifondazio­ne dandosi un profilo più competente, meno improvvisa­to, meno populista anche attraverso la figura di una nuova guida che molti identifica­no in Stefano Patuanelli, attuale ministro dello Sviluppo economico.

«Non basta dire cosa vogliamo fare ma anche in quanto tempo si può riuscire a fare». E poi «sappiamo di aver deluso ma governare è complicato» e anche «gestire un Movimento diviso ed eterogeneo è complesso». Stralci di frasi pronunciat­e ieri dall’ex leader di un Movimento che esaltava l’inesperien­za come valore. Ma se già questa è una svolta non basta a togliere di mezzo la profezia della fine. Quella non smetterà di aleggiare, anzi forse si rafforzerà dopo il voto in Emilia, perché ritrovare una connession­e con gli elettori è un'impresa. Il primo riflesso è quello di arroccarsi ed è l'opzione scelta dagli strateghi pentastell­ati che davanti al bivio di staccare la spina a Conte e tornare a essere quelli di una volta, preferisco­no restare al Governo e tentare di auto-riformarsi nei prossimi tre anni di legislatur­a. Una scelta coraggiosa. E non solo perché le previsioni in politica non funzionano più ma soprattutt­o perché la decisione è maturata all’interno di una classe dirigente che non vuole abbandonar­e la vita da parlamenta­re o ministro. È chi è approdato nelle istituzion­i che sostiene la tesi “governista” affrontand­o le critiche malevole di chi ora – come loro un tempo – li accusa di “poltronism­o”.

Sta anche qui il rischio di avverare la profezia della fine: non riuscire a governare, rinviare le decisioni o dividersi – come accade spesso – ma voler restare alla guida del Paese. Questo è quello che crea una distanza con gli elettori. E nelle stesse condizioni si trova Zingaretti che insieme a Gentiloni avrebbe preferito andare al voto in agosto piuttosto che far nascere il Conte II ma, a questo punto, non può che andare avanti per non consegnars­i a una sconfitta sicura e forse disastrosa. Serve quindi non solo trovare l’amalgama dentro i 5 Stelle ma pure fa funzionare meglio l’alleanza che finora non è decollata.

È vero che per il Pd e il suo segretario i conti si faranno dopo il voto in Emilia ma intanto c'è Salvini che cerca di buttare giù il portone di Palazzo Chigi. Anche se è piuttosto paradossal­e che proprio il capo leghista, primo artefice della crisi del Movimento e Di Maio, dica sia stato «il signor Grillo che ha portato alla fine i 5 stelle».

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