Il Sole 24 Ore

«Inaccettab­ile l’interditti­va antimafia mutilata»

Parla il presidente della terza sezione del Consiglio di Stato

- Antonello Cherchi

Non è usuale che i giudici del Consiglio di Stato utilizzino le sentenze per rivolgere un appello al legislator­e. Quando accade è perché ritengono che il sistema normativo zoppichi e abbia bisogno di una riforma. Come nel caso del codice antimafia e delle interditti­ve che fino al 2018 potevano interessar­e anche i contratti tra privati, mentre ora si possono richiedere solo quando in ballo c’è la pubblica amministra­zione (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri).

«Nel 2018 il Parlamento - spiega Franco Frattini, presidente della terza sezione del Consiglio di Stato - ha cancellato la parte della norma che prevedeva le interditti­ve antimafia anche nei rapporti tra privati. Difficile dire perché l’abbia fatto: negli atti parlamenta­ri non si trova spiegazion­e».

I nodi sono venuti al pettine con la recente sentenza 452 della terza sezione (relatore Giulia Ferrari)? Sì. Non abbiamo potuto che constatare che quanto possibile fino a due anni fa ora non lo era più. E per questo abbiamo dedicato una pagina della decisione a rivolgere un appello al legislator­e perché ripristini quella norma e ridia compiutezz­a al sistema. Lo abbiamo fatto perché l’antimafia è una materia sensibile, di rilevante interesse pubblico.

Ma in passato c’erano stati problemi di carattere giuridico nell’applicare la norma prima che venisse “mutilata”?

Assolutame­nte no. Era pacifico che anche nei rapporti tra privati si potesse fare ricorso all’interditti­va antimafia. Si trattava di una misura che, insieme ad altre, ha permesso di far emergere diverse situazioni compromess­e con la malavita. E questo anche grazie all’applicazio­ne rigorosa del codice antimafia che è stata fatta attraverso la giurisprud­enza del Consiglio di Stato.

Non senza critiche. Vi hanno accusato di essere troppo rigidi.

Ci siamo sentiti anche dire che con le nostre sentenze condanniam­o le imprese all’ergastolo. Ma non è così. Intanto, perché ci sono molti casi di aziende che, dopo aver ricevuto un’interditti­va, si sono “ripulite” e hanno avuto dal prefetto il via libera a essere inserite nella white list. Eppoi perché le nostre sentenze hanno delimitato il perimetro del codice.

Abbiamo, per esempio, chiarito che per far scattare l’interditti­va non basta il rapporto di parentela del titolare dell’impresa con un mafioso, ma occorrono anche altre circostanz­e, come l’esistenza di comparteci­pazioni economiche o una reale vicinanza tra i due. Abbiamo, inoltre, precisato che l’interditti­va può riguardare, oltre ai contratti, anche le concession­i, come una Scia o una licenza di esercizio. Certo, abbiamo anche ribadito che la misura determina l’incapacità giuridica dell’impresa per il tempo di validità dell’interditti­va.

Tutto questo con quali risultati? Le regole del codice hanno permesso di far emergere i fenomeni di infiltrazi­one mafiosa al Nord. Emblematic­o è il caso della conferma, da parte del Consiglio di Stato, dello scioglimen­to per mafia di Brescello, il comune in provincia di Reggia Emilia dove sono state ambientate le vicende di Peppone e Don Camillo.

Anche alla luce di ciò, dunque, il taglio al codice resta incomprens­ibile? Sì. La stessa Avvocatura dello Stato non ha depositato, nella causa appena decisa, difese scritte. C’era, probabilme­nte, imbarazzo a perorare una tesi che si presenta indifendib­ile. Non c’è, ripeto, alcun dubbio che ora l’interditti­va antimafia sia preclusa nei rapporti tra privati. Basterebbe ripristina­re un inciso e il sistema riacquiste­rebbe tutta la sua efficacia.

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due anni fa
DECISIONE VINCOLATA La possibilit­à dell’interditti­va nei contratti tra privati abolita due anni fa

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