Tremonti: riforma condizionata dalle clausole Iva
L’ex ministro: il Governo spieghi cosa succederà ai vincoli di bilancio
La riforma fiscale allo studio del Governo è legata a filo doppio alle clausole di salvaguardia. Senza risolvere prima il problema del fardello che pesa sui conti pubblici italiani, il pericolo è che il cantiere avviato dall’esecutivo sia ridotto a una semplice «partita di raggiro».
È questa l’opinione di Giulio Tremonti, presidente dell’Aspen Institute Italia, che ieri è intervenuto, presso la sede del Sole 24 Ore a Milano, nel corso di un convegno organizzato dalla sezione Lombardia dell’Anti, l’associazione nazionale dei tributaristi italiani. La giornata di lavori è stata dedicata ai difficili intrecci tra fisco e innovazione, sia in ambito nazionale che internazionale. I nuovi modelli di economia, soprattutto quelli legati al digitale, pongono infatti un lunghissimo elenco di questioni che molti esperti hanno discusso fino al tardo pomeriggio.
Il tema della riforma fiscale per Tremonti è necessariamente legato al suo libro Bianco, scritto nel 1994. Conteneva, tra gli altri, il principio «dalle persone alle cose», che puntava sull’idea di spostare l’asse della tassazione verso i consumi e del quale si sarebbe poi molto parlato negli anni successivi.
A distanza di così tanto tempo, quei temi sono ancora attuali e oggi Tremonti dice: «Sento parlare di una riforma fiscale. Mi permetto di formulare qualche marginale dubbio». Il primo motivo è che «sul sistema italiano incombe il meccanismo delle clausole di salvaguardia che cubano una cifra molto elevata e che, per inciso, sono state introdotte su richiesta dell’Europa dal Governo Monti».
Prima di parlare di riforma fiscale nei suoi aspetti più tecnici e di dettaglio, Tremonti allora dice: «Vorrei chiedere alla classe politica di chiarire cosa succede con le clausole, perché altrimenti è semplicemente una partita, non di giro ma di raggiro».
Il secondo punto è più specifico: Tremonti si chiede che tipo di riforma intenda fare adesso il Governo. «Quando ho fatto il libro bianco del 1994, l’obiezione dell’aristocrazia finanziaria e accademica italiana fu che “dalle persone alle cose” era un attentato al principio della progressività». Su questo, però, «ho come l’impressione che questo principio già sia largamente attentato, perché sono fuori dalla base quasi tutti i redditi da capitale, finanziario e immobiliare». Da un regime separato all’altro, «di fatto l’Irpef è un’imposta che incide principalmente sul lavoro dipendente».
Tremonti, poi, fotografa una certa confusione. «Quando si è iniziato a parlare di riforma lo scenario è stato anche, clausole a parte, estremamente divertente, con ipotesi che sono andate su tutti i domini dell’esistente, dalle bibite alle auto aziendali».
Sembra, comunque, «che il punto di caduta sia quello della nuova aliquota dell’imposta e cioè la formula matematica alla tedesca. Un meccanismo, una formula matematica che in ogni momento ti dice qual è in quel momento l’imposta. In un paese come questo, non perché arretrato ma perché troppo complicato, un’imposta del genere ricorda molto l’imposta sull’intelligenza» di una favola fiscale di Voltaire.