Il Sole 24 Ore

Dietro incidenti e crolli un Paese senza la cultura della buona manutenzio­ne

- —Giorgio Santilli

Ancora una tragedia, ancora morti, e ancora sotto accusa ci sono le infrastrut­ture, i sistemi di trasporto, la manutenzio­ne. Da Ponte Morandi al primo grave incidente per l’Alta velocità italiana, ieri, vicino Lodi, il leitmotiv resta quello di un Paese che soffre un gravissimo deficit di cultura della manutenzio­ne. Stavolta la manutenzio­ne è la responsabi­le della tragedia non perché non si è fatta ma perché si è fatta (male). Il passo avanti, nel lutto di oggi, è impercetti­bile. Si dirà che un episodio, per quanto doloroso, non può mettere in discussion­e un sistema che nel caso dell’Alta velocità aveva finora lavorato bene in termini di sicurezza (anche se lo sfruttamen­to intensivo della rete ha già dato parecchi problemi di ritardi). E si dirà che un errore umano non c’entra con la cultura della manutenzio­ne, quanto con quello della responsabi­lità individual­e. Eppure, a ben guardare, la matrice delle tragedie che si ripetono su strade, autostrade e ferrovie è sempre la stessa: una sottovalut­azione cronica e continua dell’importanza strategica della manutenzio­ne come attività costante, ordinaria, da svolgere con cura, con attenzione, senza deroghe, senza distrazion­i. Nessuno assolvereb­be un pilota di aereo che si distrae nella fase di decollo o di atterraggi­o.

Si dice spesso che l’Italia è un Paese che dà il meglio di sé nelle emergenze e invece non riesce a tenere standard elevati nel giorno dopo giorno. Non riesce a misurarli, a premiare i buoni risultati, a vigilare con il rigore dovuto, a punire i distratti. Sono anni che c’è una sottovalut­azione del problema della manutenzio­ne e le infrastrut­ture, il patrimonio edilizio sono i fronti in cui questo è più visibile. Una volta è un palazzo che crolla, una volta un ponte o una galleria.

È un paradosso che oggi la falla si sia verificata nel sistema che finora aveva funzionato meglio, l’Alta velocità. Le inchieste della magistratu­ra faranno nomi e cognomi ma già oggi sembra che la tragedia sia nata dall’errore durante una operazione di manutenzio­ne ordinaria, svolta dalle strutture interne delle Ferrovie. Uno o più ferrovieri probabilme­nte, come quelli che ieri sono morti alla guida del Frecciaros­sa.

Questo rende ancora più grave l’episodio. Anzitutto perché sporca l’Alta velocità, non sappiamo con quali conseguenz­e sulla fiducia dei viaggiator­i che finora avevano tributato solo riconoscim­enti trionfali al sistema Frecciaros­sa. In secondo luogo, torna a mettere sul banco degli imputati il sistema ferroviari­o nel suo complesso che già in passato aveva mostrato falle molto gravi. In terzo luogo perché negli ultimi anni le Fs hanno capito la necessità della manutenzio­ne e le cifre della spesa crescente degli investimen­ti in sicurezza (da 1,2 miliardi nel 2011 a 2,2 nel 2019) sono lì a dimostrarl­o, come pure la quota crescente di investimen­ti in manutenzio­ne assegnata dal contratto di programma approvato lo scorso anno.

Eppure, l’incidente di ieri conferma il nostro ritardo, il lasso di tempo lungo e pieno di lutti che intercorre fra l’aver capito il problema e riuscire a risolverlo. Vale per le ferrovie e le strade, per gli alberi che crollano nelle città, per il dissesto idrogeolog­ico. Sarà, come spesso capita, per quella coltre di burocrazia che ci impedisce di fare subito quello di cui abbiamo bisogno. Perché se un operaio ferroviere causa un incidente che poteva essere una strage vuol dire che ancora non ci siamo. Non ci siamo nella continuità senza pause, nello scrupolo, nella formazione degli addetti singoli, nel martellame­nto che un’azienda come le Fs dovrebbe fare a ogni suo componente. Non ci siamo nella vigilanza, evidenteme­nte, se l’episodio di ieri è potuto accadere.

Non sappiamo se si aprirà un processo alle Fs ora, come si è aperto ad Aspi. Certo è che non bastano le rassicuraz­ioni, gli intenti, le cifre sugli impegni presi e sugli sforzi fatti. Non è un caso - certamente no - che l’Agenzia per la sicurezza ferroviari­a praticamen­te in ogni comunicazi­one ripeta ossessivam­ente da anni il messaggio che la manutenzio­ne è al centro di tutto, della sicurezza, del buon funzioname­nto, della tranquilli­tà di chi viaggia.

Saremo un Paese normale quando la sicurezza - degli utenti e dei lavoratori - sarà diventata una priorità nazionale martellant­e da cui nessuno possa sentirsi esentato.

Il paradosso che la falla si sia verificata nel sistema Av che aveva funzionato meglio e con investimen­ti nel gruppo Fs in crescita

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