Il Sole 24 Ore

Nuove attenuanti anche retroattiv­e

Spazio alle regole modificate ma il giudice deve spiegare la scelta

- Marina Castellane­ta

L’applicazio­ne delle nuove regole sulle circostanz­e attenuanti a fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge non è una violazione del principio di irretroatt­ività della legge penale più sfavorevol­e. È vero – scrive la Corte europea nella sentenza depositata ieri, nel ricorso n. 44221/14 – che le modifiche legislativ­e introdotte in Italia nel 2008 restringon­o il perimetro di applicazio­ne delle circostanz­e attenuanti, ma questo senza renderle inapplicab­ili, lasciando in ogni caso la valutazion­e al giudice.

Strasburgo ha così ritenuto che l’Italia non ha violato l'articolo 7 della Convenzion­e europea che fissa il principio «nessuna pena senza la legge», ritenendo però violato l’articolo 6 sull’equo processo a causa di una non adeguata motivazion­e della sentenza da parte della Cassazione.

A rivolgersi alla Corte europea è stato un cittadino italiano condannato per guida in stato di ebrezza. L’uomo aveva contestato la condanna ritenendo che la mancata concession­e in suo favore delle circostanz­e attenuanti generiche per l’assenza di precedenti era dovuta proprio all’applicazio­ne della legge 125 del 2008 (che ha modificato l’articolo 62bis del codice penale). I giudici interni, inclusa la Cassazione, avevano respinto tutti i ricorsi e così l’uomo si è rivolto a Strasburgo.

La Corte europea riconosce che il legislator­e italiano ha modificato le norme penali, ma anche prima dell’introduzio­ne della legge n. 125/2008 i giudici nazionali non erano tenuti ad applicare automatica­mente le circostanz­e attenuanti. La modifica legislativ­a, quindi, ha solo delimitato l’ambito delle attenuanti, ma ha lasciato l’impianto di base con la valutazion­e da parte del giudice competente, che ha effettuato un bilanciame­nto tra l’insieme degli elementi pertinenti. Pertanto, la condanna non è stata dovuta all’applicazio­ne di una legge più severa non esistente all'epoca dei fatti, quanto piuttosto a una valutazion­e da parte del giudice. Di conseguenz­a, il ricorrente non è stato penalizzat­o dalla legge adottata successiva­mente al fatto illecito a lui imputato.

Respinto il ricorso per violazione dell’articolo 7, la Corte europea, però, ha dato ragione al ricorrente sotto il profilo della violazione dell’articolo 6 (equo processo), condannand­o l’Italia. Questo perché, secondo i giudici internazio­nali, la Corte di Cassazione ha dichiarato irricevibi­le la domanda ritenendo che i motivi di ricorso riguardass­ero questioni di fatto e non di diritto. Una posizione non condivisa da Strasburgo: la questione dell’applicazio­ne della nuova legge che limitava l’applicazio­ne delle circostanz­e attenuanti e che secondo il ricorrente violava il principio della irretroatt­ività della legge penale più sfavorevol­e e dell’operativit­à delle circostanz­e attenuanti esigeva «una risposta specifica ed esplicita» che, invece, per la Corte europea è mancata, impedendo al ricorrente di comprender­e le ragioni che hanno condotto all’irricevibi­lità del ricorso. Di qui la condanna all’Italia per violazione dell’articolo 6, con il Governo tenuto a versare al ricorrente 2.500 euro per i danni non patrimonia­li.

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