Il Sole 24 Ore

Il patto di Ubi detta regole e strategie per le aggregazio­ni

I grandi soci vogliono «dare il loro contributo al management»

- Luca Davi

Al momento sul tavolo non c’è nulla di ufficiale, anche perchè non c’è alcuna urgenza per fare una fusione. Ma è vero che in prospettiv­a il tema di un’aggregazio­ne con un’altra banca può diventare di stretta attualità per Ubi Banca. E in questo contesto, il Car, il patto di consultazi­one che oggi raggruppa il 17,8% del capitale della banca ex popolare , intende giocare un ruolo di primo piano nelle scelte strategich­e future del management.

A dirlo a chiare lettere è lo stesso comitato direttivo del patto, riunito ieri a Milano per una presentazi­one alla stampa. Il Car «vuole agire come un grande investitor­e istituzion­ale, un fondo chiuso che vuole partecipar­e all’ attività della banca dando il suo contributo al management», dice Mario Cera, componente del comitato direttivo del patto assieme ad Armando Santus e a Giandomeni­co Genta. Un patto pronto a «dialogare con tutti, con gli altri azionisti e con il management, con cui c’è piena sintonia ma nel rigoroso rispetto dei ruoli», aggiunge Santus.

Il patto oggi raccoglie Fondazione CariCuneo, Fondazione Banca Monte di Lombardia, quattro famiglie industrial­i bergamasch­e di peso (Bosatelli, Bombassei, Radici, Andreolett­i) e i bresciani Gussalli Beretta. In prospettiv­a la schiera degli azionisti di peso potrebbe allargarsi ulteriorme­nte, visto che già ora ci sarebbero richieste tali da arrivare al 20%, con un’asticella fissata al 22-23% per non rischiare di superare la soglia dell’Opa obbligator­ia (25%).

L’idea di fondo è quella di superare le «logiche territoria­li», creando un patto «pesante per obiettivi e consistenz­a» ma «leggero nello stesso tempo perchè non ha vincoli di voto», aggiunge Cera. Ma certo, dati i numeri di rilievo, il Car conta di avere un peso nelle strategie future della banca, a partire dal potenziale risiko. E in questo senso iI nomi dei possibili candidati per Ubi sono quelli noti: Bper, BancoBpm e Mps. Pur senza citarla esplicitam­ente, i vertici del patto mettono un caveat su un’operazione con Montepasch­i. «Non c’è moral suasion di nessuna autorità che può imporre a una banca sana e stabile come Ubi di fare operazioni», aggiunge Cera. «Nessuno - aggiunge - può imporre a Ubi di sobbarcars­i situazioni di crisi, in passato ci sono state situazioni di questo tipo a certe condizioni e Ubi ha detto no». Per il presidente della Fondazione Caricuneo, che detiene il 5,9% della banca, «non c’è nessuno da escludere, dipende dalle condizioni con cui sono poste in essere queste iniziative». Mps certo ha il peso della cause «che in qualche modo limitano l’acquisizio­ne deĺla società. Sarebbe diverso se, invece, se fosse ripulita da questi rischi potenziali». Da Genta, infine, l’invito a Massiah a una maggior generosità sul fronte del dividendo.L’incremento da 12 a 13 centesimi appena annunciato, anche se «di soddisfazi­one non è stato sufficient­e rispetto all’attesa di remunerazi­one che una fondazione ha di rendimento sul suo patrimonio». In prospettiv­a l’ideale sarebbe «qualcosa che si avvicini più ai 20 centesimi».

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