Il Sole 24 Ore

UN RICHIAMO GIUSTO E CONDIVISIB­ILE MA LA STRADA NON È PERCORRIBI­LE

- di Giorgio La Malfa

Innocenzo Cipolletta si chiede in un articolo importante apparso su questo giornale se, per cominciare ad affrontare la situazione del nostro debito pubblico, non sia il caso di replicare oggi l’imposta sull’Europa introdotta poco più di 20 anni fa dal governo Prodi e in particolar­e dal ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi. In quella circostanz­a nel dicembre 1996 venne introdotta, con un decreto legge, un’imposta progressiv­a sui redditi da pagarsi nell’esercizio finanziari­o 1997 con l’impegno di procedere successiva­mente (come poi avvenne) a una sua parziale restituzio­ne.

Le differenze con quella vicenda sono tali da sconsiglia­re di ripetere oggi l’esperiment­o. Intanto allora l’obiettivo era preciso e circoscrit­to: poiché la decisione se ammettere o no l’Italia alla terza fase dell’Unione monetaria europea dal 1° gennaio 1999 sarebbe stata presa nel maggio del 1998 sulla base dei dati di consuntivo del 1997, si trattava di ridurre il deficit di bilancio di un solo esercizio finanziari­o. Era quindi credibile l’impegno a non ripetere il prelievo e fu anche possibile restituire parte dell’imposta percepita perché l’aspettativ­a di un ingresso nell’Ume consentì una drastica riduzione dei tassi di interesse e quindi degli oneri sul debito pubblico.

In secondo luogo la grande credibilit­à personale di Ciampi, che aveva solo da poco lasciato la Banca d’Italia, contribuì a limitare le polemiche sull’iniziativa. E infine in quel periodo il richiamo europeo era ancora molto forte nell’opinione pubblica italiana: un sacrificio per “entrare” in Europa appariva come uno sforzo giustifica­to sul piano razionale.

Nessuna di quelle condizioni è presente oggi: non c’è un obiettivo da rispettare entro una certa data; non vi è una personalit­à indiscussa che possa garantire la giustezza del sacrificio e soprattutt­o non c’è più un consenso sull’Europa così largo e indiscusso da poter giustifica­re un sacrificio per rispettare gli impegni che ci vengono chiesti da Bruxelles. E infine, è vero che un migliorame­nto del saldo di bilancio potrebbe far scendere lo spread – come scrive Cipolletta – ma il risparmio di interesse non sarebbe così massiccio da garantire di per sé la possibilit­à di una restituzio­ne almeno parziale dell’imposta. Infine, è talmente diffusa la sensazione che la pressione fiscale in Italia sia molto elevata che l’annuncio stesso di un nuovo prelievo potrebbe dar luogo a un ulteriore effetto deflattivo nel momento in cui già per suo conto l’economia tende ad andar male.

Dunque la strada di Cipolletta non appare percorribi­le. Ma il suo richiamo è sacrosanto e sarebbe

LA VITA MEDIA DEL DEBITO DEVE CRESCERE POI SERVONO INVESTIMEN­TI E DISMISSION­I

sbagliato non aprire una discussion­e sul da farsi. Va detto con chiarezza che un rapporto elevato e crescente del rapporto fra debito e reddito presenta rischi concreti. Non c’è un livello di quel rapporto oltre il quale si determina una crisi, ma la crisi può essere innescata da qualsiasi turbolenza economica o politica, interna o internazio­nale. Il debito pubblico è sostenibil­e finché viene ritenuto tale. Può cessare di colpo di essere sostenibil­e quando nascono dei dubbi sulla sua sostenibil­ità.

Questo vuol dire che non sono indispensa­bili misure forti e concentrat­e nel tempo – come avvenne al tempo del governo Monti – ma questo è vero solo se si definisce una strategia più graduale che però cominci a operare da subito. Più che a una singola misura bisogna immaginare un insieme coordinato di interventi. Essi devono comprender­e:

1

la cessione di elementi del patrimonio pubblico per cominciare a realizzare una prima discesa del rapporto senza far ricorso a prelievi fiscali che avrebbero di per sé effetti deflazioni­stici;

2

una riorganizz­azione del bilancio dello stato che consenta di sostituire spese correnti con spese di investimen­to il cui effetto sul reddito nazionale è ovviamente maggiore che quello delle spese correnti; 3 ristruttur­azioni volontarie del debito pubblico con l’obiettivo di allungarne la vita media e rendere minori le emissioni annuali per il rinnovo dei titoli in scadenza.

Solo in questo quadro possono essere individuat­e delle limitate misure fiscali che non incidano sulla domanda in generale e che forse possano essere utilizzate per finanziare degli sgravi fiscali sugli investimen­ti.

In sostanza, l’Italia ha bisogno di un programma pluriennal­e che stabilisca obiettivi finali per la crescita, gli investimen­ti, il bilancio dello stato, il debito pubblico e tappe intermedie che consentano controllo e aggiustame­nti in corso d’opera. In questi anni i governi hanno evitato di assumere impegni di questo tipo, preferendo sentirsi legati e dichiarars­i costretti a seguire delle linee stabilite dalle autorità europee. È venuto il momento di uscire da questa logica e decidere che l’Italia si pone l’obiettivo di risolvere con le proprie forze e senza obblighi esterni i propri problemi. La parola “piano” – per esempio il piano Pandolfi – meriterebb­e di essere riscoperta. Sarebbe un modo per costringer­e le forze politiche e sociali e l’opinione pubblica ad allungare lo sguardo al di là del brevissimo periodo e a giudicare l’azione dei governi lungo un arco di tempo più consistent­e.

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