Batteri e inquinanti, la difesa della salute inizia in casa
In questi giorni in cui si vive molto tempo al chiuso si comprende quanto sia importante contrastare elementi nocivi come muffe e sostanze chimiche con una progettazione attenta a ventilazione e materiali
Da una parte, i pericoli connessi agli “inquinanti biologici”, come muffe e batteri che proliferano di pari passo con la fuoriuscita e dei sali causati da fenomeni di umidità. Dall’altra gli inquinanti chimici: contenuti negli isolanti, nei leganti delle vernici, nelle colle e nei sigillanti di rivestimenti e arredi. E ancora, le polveri sottili e gli acari che si annidano nei tessuti, nei materassi e nei divani; gli impianti idrici vetusti; l’inquinamento da rumore e luminoso; la presenza di amianto sui tetti, o di radon al piano terra e nei locali seminterrati. Poi ci sono le cattive abitudini delle persone, che fumano in casa, che non hanno l’abitudine di togliersi scarpe e vestiti utilizzati all’esterno e producono smog senza saperlo nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, dalla cottura di una bistecca sul gas a una frittura, fino a una banale doccia calda in un bagno non ventilato, dal classico colpo di tosse all’uso dei cellulari.
In emergenza coronavirus, occorre guardare oltre. I luoghi indoor – quelli dove, non solo in questi giorni di isolamento forzato, trascorriamo la maggior parte del nostro tempo – possono essere inquinati da cinque a dieci volte in più rispetto agli spazi aperti. Questo perché alle polveri sottili e ad altre sostanze presenti nell’ambiente outdoor si somma tutto ciò che è “prodotto” fra le mura domestiche. A partire da cosiddetti composti organici volatili (Cov): sostanze cancerogene come la formaldeide, un potente battericida contenuto in adesivi, vernici o tessuti, ma anche il benzene o interferenti endocrini come il piombo, gli ftalati e i fenoli fino agli ossidi di azoto e al monossido di carbonio, sprigionato da un caminetto o da una comune stufa a gas. Colle, truciolati, pannelli, tappezzerie, moquettes, rivestimenti, armadi, prodotti per la pulizia e naftlaline: secondo le stime del Scientific committee on health and environmental risks dell’Unione europea, sono oltre 900 le sostanze chimiche (o a volte anche naturali, ma in concentrazioni eccessive o mal combinate e dunque tossiche) che minano la salute.
Gli effetti sono seri: l’Organizzazizone Mondiale della Sanità stima ogni anno un numero di decessi pari a circa 4,3 milioni di persone per patologie legate alla qualità dell’aria respirata in un ambiente confinato. Di questi, 90mila casi sono in Europa. Numeri che dovrebbero far riflettere e che, invece, non sono ancora noti alla collettività. «Nel passato – commenta Umberto Moscato, docente all’Università Cattolica di Roma e membro del dipartimento di Assistenza di Sanità Pubblica presso l’Istituto di Igiene – si parlava di sindrome dell’edificio malato. Si tratta di una definizione superata. A essere danneggiato, infatti, non è tanto l’immobile quanto l’uomo».
Il problema è tanto più evidente in case performanti sotto l’aspetto del contenimento dei consumi energetici, ben isolate, magari localizzate in zone soggette a inquinamento e non dotate di una predisposizione impiantistica di ricambio dell’aria (ad esempio, la ventilazione meccanica controllata) o non progettate per un ricambio naturale. Peggio ancora se l’immobile è soggetto a fenomeni di umidità, troppo a lungo sottovalutati e causati dalla classica (e comunissima) umidità di risalita, così come dalla rottura di impianti o dalla formazione di condensa e per la presenza di ponti termici, cioè di muri, travi e pilastri rivolti all’esterno e non perfettamente coibentati. «I disturbi – prosegue Moscato - si manifestano sotto forma di sintomi più lievi (spesso confusi con altre patologie), come semplici irritazioni delle mucose respiratorie o degli occhi, stress e irascibilità, svogliatezza e poca concentrazione, raffreddori, cefalee e stanchezza, fino a vere e proprie malattie respiratorie, cardiovascolari e forme di neoplasia e tumori».
Ora, ai problemi ci sono diverse soluzioni. La ventilazione meccanica, ad esempio, oggi sempre di più integra anche la possibilità di filtrare l’aria esterna così come di purificare quella interna, grazie alla cosiddetta ionizzazione. Non solo. Per l’umidità di risalita la tecnologia della neutralizzazione di carica Cnt, che – come spiega il professor Carlo Ostorero del Politecnico di Torino – blocca all’origine il problema dell’assorbimento di acqua da parte di muri e pavimenti. Così come è possibile l’impiego di materiali naturali (dagli isolanti alle pitture ai rivestimenti) o studiati per essere antibatterici (molti i brevetti a riguardo nelle ceramiche o nei grès). «La responsabilità finale è però della progettazione – spiega Stefano Capolongo, responsabile del Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle costruzioni e Ambiente costruito del Politecnico di Milano –. L’architettura può e deve fare la sua. Ad esempio, studiando bene la collocazione di un immobile rispetto al contesto e agendo, sulle possibilità di angolazione delle aperture per favorire la ventilazione, favorire il soleggiamento o prevenire la formazione di umidità e muffe. Inoltre, è indispensabile colmare il divario che persiste tra l’avanzamento delle tecniche nel settore edilizio e le ancora insufficienti conoscenze relative all’impatto su ambiente e salute».
Come già accade in altri Paesi, la filiera edilizia ha incluso nuove figure professionali nella costruzione di una casa. «Dagli ingegneri, architetti o geometri fino ai medici, innanzitutto, così come ai biologi e ai tecnici della prevenzione. Fino agli stessi committenti – conclude Moscato –. Bisognerebbe inoltre creare una filiera, legata ai materiali, simile a quella della produzione alimentare, in cui tutto sia tracciabile dall’inizio alla fine. Più attenzione e investimento in questa fase si traduce in un risparrmio importante in termini di salute».
Frequenti ricambi d’aria sono alla base della prevenzione contro la maggior parte delle patologie