Il virus che smonta (e rimonta) l’Europa
Ma se è riuscito a perforare perfino il cemento della proverbiale unità del blocco scandinavo, la mini-Europa del Nord fatta da Danimarca, Svezia, Finlandia e Norvegia, che eccelle in welfare e benessere e in comune ha pure la carta di identità, davvero si poteva credere che il Covid-19 avrebbe risparmiato la coesione dell’Unione che non c’è? Il problema oggi non è massacrare l’Europa per le sue evidenti lacune e latitanze: vizi strutturali che derivano da difetti di costruzione che le hanno sottratto competenze (sanità in primis) lasciate alle varie sovranità nazionali o regionali e non si superano con uno schiocco di frusta. Il problema è cercare di contenere e compensare i danni provocati dalla non-Europa per superare alla meno peggio l’emergenza e impedire che un giorno il ritorno alla normalità si affacci su un cumulo di macerie. Il pericolo è concreto e potrebbe colpire non solo l’Europa ma le stesse democrazie che la sostengono, oggi mosse da dinamiche altrettanto imperfette e insoddisfacenti. Le sbandate nazionalistiche, i confini blindati, le improvvise fatiche dell’export di prodotti sanitari, frutto inevitabile di paure, egoismi e diffuse diffidenze verso il vicino, potrebbero fare terra bruciata senza ritorno dell’integrazione europea. Disorientamento, colpevoli ritardi, manifesta inadeguatezza di Governi europei, che hanno finito per favorire la diffusione del contagio prima di decidersi a frenarla con misure drastiche, potrebbero fragilizzare consenso e fiducia dei cittadini in leadership deboli e incerte. Peggio, la loro scarsa autorevolezza potrebbe incoraggiare sbandate verso forme di autoritarismo. L’apparente successo della Cina contro il virus, la sua martellante propaganda a suon di generosi aiuti alla sanità di un’Europa egoista in piena pandemia potrebbero farne un modello, magari facendo dimenticare che è stata Pechino l’origine del contagio. Potrebbe. Perché la strada verso il precipizio non è obbligata. Oggi l’Europa si smonta, distrugge le sue conquiste, il grande mercato, diritti, libertà personali e libera circolazione, sospende il Patto di stabilità e il codice degli aiuti di Stato, entra in un’economia di guerra dove le uniche regole diventano quelle della sopravvivenza e tutti devono adeguarsi, Bce compresa. Ma dopo la passeggiata nell’inferno della pandemia, della recessione economica, del crollo delle Borse, dell’euro e degli spread sotto pressione e sotto gli attacchi della speculazione, non è detto che non ci sia ricostruzione e che, alla fine, la nuova Europa non possa essere migliore dell’originale oggi a pezzi. Anche Angela Merkel ha parlato ieri sera ai tedeschi, chiamando alla battaglia contro il coronavirus, «un compito storico da affrontare insieme». Un’alluvione di aiuti all’economia. Che peraltro e in varia misura sta piovendo dovunque in Europa per fermare il disastro. Ma la cancelliera per la prima volta ha parlato anche di una possibile apertura alla mutualizzazione del debito europeo. I mercati non hanno reagito bene. Ma se davvero ci fosse, sarebbe il gesto rivoluzionario, il colpo di reni inatteso che potrebbe rimettere in piedi, e più forte, l’Europa smontata di oggi. Come il «whatever it takes» di Mario Draghi nel 2012. Come il piano Marshall del 1947.
L’ Unione per ora è costretta a rinunciare a Schengen e a congelare il Patto di stabilità per sopravvivere