Il petrolio affonda ai minimi da 18 anni
La capacità degli stoccaggi potrebbe presto esaurirsi Crollano anche oro e rame
Un barile di petrolio non è mai costato così poco negli ultimi 18 anni. Con un nuovo, drammatico affondo nella seduta di ieri, che ha registrato ribassi fino al 20%, il Wti è arrivato a scambiare intorno a 20 $, un prezzo che nonsi vedeva dal 2002. Il Brent è scivolato sotto 25 $, ai minimi dal 2003.
Fiumi di petrolio continuano a riversarsi sul mercato, mentre i consumi si contraggono ogni giorno di più. Il mondo, paralizzato dal coronavirus, sta entrando in recessione secondo molti analisti. E gli stoccaggi sono a livelli di guardia: quelli a terra sono già pieni per il 61% della capacità, stima Kayrros, e fra sei mesi al più tardi non vi si potrà più aggiungere una sola goccia di greggio. I costi di stoccaggio a Cushing sono raddoppiati in un mese, riferisce Reuters. Restano le navi, che già custodiscono 63 milioni di barili di scorte galleggianti, secondo Vortexa. Ma con i noli delle petroliere alle stelle questa opzione sta diventando sempre più onerosa: noleggiare una Vlcc per tre mesi oggi costa 150mila dollari al giorno secondo Gibson Shipbrokers, e sul mercato spot si arriva anche a 300mila $, dieci volte quanto si spendeva un mese fa. Il rincaro in gran parte è stato provocato dal boom di prenotazioni dell’Arabia Saudita, che da oltre una settimana ripete che aumenterà le forniture di greggio a 12,3 mbg, «per diversi mesi» ha specificato ieri.
Sui mercati finanziari il panico da coronavirus spinge ormai a vendere quasi ogni asset, con un accanimento particolare verso quelli più rischiosi o più liquidi. Insieme ai titoli di Stato, ieri travolti senza troppe distinzioni, anche l’oro resta nel mirino: le quotazioni sono affondate più volte sotto 1.500 dollari l’oncia, alternando fasi di ribasso fino al 3% con spunti di rialzo vicini al 5%. La volatilità, espressa dal Cboe Gold Etf Volatility Index, è raddoppiata in sei sedute ed è ai massimi da novembre 2008.
Al London Metal Exchange – che per la prima volta in 143 anni di storia chiuderà il parterre per evitare contagi da Covid19 – i metalli industriali sono ai minimi dal 2016. Il rame ha sfondato il supporto dei 5mila $/tonnellata ed è in ribasso di oltre il 25% da metà gennaio.
Ma è il crollo del petrolio, che si è svalutato del 70% da inizio anno, ad essere ormai senza freni. Un’inversione di rotta potrà avvenire solo con la ripresa dei consumi (e dunque con la fine della pandemia), oppure con un drastico taglio della produzione, volontario o dettato dalla disperazione. L’Iraq ha esortato a ricomporre l’Opec Plus, convocando un vertice di emergenza, ma è molto improbabile che sauditi e russi raccolgano il suo appello, anche se Mosca per la prima volta ha ammesso che forse si sta esagerando. «Ovviamente il prezzo è basso, vorremmo vederlo più alto», ha detto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, senza però accennare a possibili accordi con l’Opec.
I tagli (forzati) presto potrebbero arrivare da altri produttori: quelli dello shale oil Usa, nella morsa di una stretta creditizia senza precedenti, e non solo. Il paniere dei greggi messicani ormai vale meno di 20 $/barile, il petrolio pesante canadese – il Western Canadian Select – è sprofondato a 9,19 $, il minimo storico, e gli impianti di oil sands stanno già rallentando. La Nigeria, scrive Reuters, ha almeno 30 mb di greggio su petroliere pronte per salpare, cr
he però non trovano un acquirente a nessun prezzo: il trasporto è troppo caro e molte raffinerie non hanno più capacità di stoccaggio.
Mizuho Securities non esclude che il petrolio presto possa registrare prezzi negativi: in pratica bisognerà pagare per riuscire a liberarsene.