La trincea dei 14mila ricoveri Pochi letti, medici e respiratori
Cresce l’emergenza anche fuori dalle terapie intensive dove cominciano a scarseggiare posti e dotazioni per i pazienti meno gravi. Si attrezzano i primi ospedali da campo
Le strutture.
C'è un’altra trincea negli ospedali, prima di quella delle terapie intensive. Una trincea dove si contano oltre 14mila persone ricoverate perché il coronavirus gli toglie il respiro e aggrava la loro condizione se già malati. Un numero enorme che è aumentato di dieci volte in 2 settimane. È qui che si combatte tutti i giorni per evitare che questi pazienti peggiorino e finiscano nelle terapie intensive dove si contano oltre 2mila casi. Ma negli ospedali più colpiti, quelli ormai tutti Covid-19, cominciano a mancare letti anche per loro. E servono con urgenza medici e infermieri oltre ai ventilatori non invasivi . I dati che arrivano dai responsabili Fadoi (la federazione dei medici internisti) delle aree più esposte dicono che oramai il tasso di occupazione dei posti letto supera la soglia di sicurezza, fino al 95%. E infatti nelle aree più colpite in Lombardia ed Emilia - da Crema a Cremona - si stanno allestendo i primi ospedali da campo per aggiungere letti. Il primo, quello di Piacenza, aprirà domani e avrà letti soprattutto per questi pazienti.
«Il 70% dei ricoverati che non sono in terapia intensiva, sono nei reparti di Medicina interna»rivela il Presidente della Fado, Dario Manfellotto. Che avverte: «Stiamo affrontando una situazione nuova e difficilissima per la quale nessuno era preparato. Abbiamo bisogno di postiletto di area medica per questi pazienti – rimarca il presidente Fadoi - , che devono essere isolati, ma che sono affetti da comorbidità complesse che devono continuare ad essere affrontate globalmente anche con l’utilizzo della ventilazione non invasiva. E in questo senso è quanto mai necessario incrementare e formare il personale».
Matteo Giorgi Pierfranceschi dirige la prima linea della Medicina interna a Cremona oramai tutto “Covid-Hospital”. Parla con il volto segnato dalla maschera, «che insieme al resto della bardatura portiamo tutti i giorni fino a 12-13 ore». I letti qui si eusariscono rapidamente, «anche se periodicamente la rete regionale ne libera una decina, che vengono subito rioccupati perché i contagi sono in crescita». Il personale è al limite «ma anche le attrezzature, come monitor e respiratori presto non basteranno più». «In questo momento - racconta - i pazienti infettivi vengono seguiti anche da cardiologi, urologi, chirurghi e tutti gli altri specialisti. Nessuno si è tirato indietro, ma servono al più presto assunzioni, perché da noi già una decina di sanitari sono stati messi fuori causa dall'infezione». Pierfranceschi sottolinea il ruolo degli internisti: «Molti pazienti che abbiamo in carico sono anziani e con polipatologie che richiedono uno sguardo d’insieme. Per alcuni l’infezione è l'evento finale di una situazione compromessa. Ma per quasi tutti - conclude - la morte è data dalla polmonite ed è azzardato dire sia stata provocata da una malattia pregressa».
«Siamo in guerra» racconta Antonino Mazzone che dirige l’Area medica dell’azienda ospedaliera di Legnano. Qui la Medicina interna è stata riorganizzata: «Abbiamo creato un reparto formato da una mini équipe composta da internista, pneumologo, infettivologo e reumatologo, con stanze singole per le persone ventilate, in modo che i pazienti in terapia intensiva che sono stabili vengano trasferiti da noi. Il reparto poi prevede per i casi meno gravi il ricovero in isolamento di coorte». Il percorso funziona ma anche i reparti sono ormai prossimi al collasso. «Se l’aumento dei casi non si arresterà – rivela Mazzone – andremo in emergenza anche perché in questi giorni abbiamo anche supportato gli ospedali di Crema e Bergamo. Ogni giorno cerchiamo di creare nuovi posti letto, ma ad oggi tra Legnano e Magenta liabbiamo praticamente tutti occupati». L’altra emergenza è il personale all’osso: «Abbiamo chiuso tutti i reparti chirurgici e abbiamo recuperato tutti gli internisti disponibili». Qui si testa anche il farmaco anti-artrite di cui tanto si parla: «Ne abbiamo 16 in trattamento e in 14 casi rispondono positivamente».
L’ospedale “Sette laghi” di Varese si è organizzato non solo per accogliere i pazienti della zona, ma anche quelli delle province al collasso, come Brescia e Bergamo: «Ora abbiamo 65 letti Covid, praticamente tutti occupati, mane apriremo altri », avverte Francesco Dentali, Capo dipartimento di medicina interna e vicepresidente Fadoi che sottolinea come« si lavora in un' ottica multidisciplinare con il coordinamento della medicina interna. Diciamo -prosegueche si sta lavorando con uno spirito di collaborazione che ha finito per far superare la vecchia logica della singola unità operativa e persino dei dipartimenti».