Il Sole 24 Ore

AZIENDE A RISCHIO CROLLO

- di Riccardo Tiscini

Ci sono ormai pochi dubbi che la crisi economica generata dalla pandemia Covid-19 avrà effetti molto maggiori di quelle, più o meno recenti, che l’hanno preceduta. Le misure di prevenzion­e sanitaria sono state responsabi­lmente adottate e responsabi­le è stata la risposta complessiv­a della cittadinan­za, pur con la rilevante eccezione del controesod­o Nord-Sud.

La decisione di «sospendere» tutte le attività produttive «non essenziali» sull’intero territorio nazionale, annunciata nottetempo e poi confermata con il dpcm 22 marzo 2020, rischia tuttavia di generare danni economici non giustifica­ti da benefici sanitari. Nel rispetto delle norme sulla sicurezza del lavoro, come adeguate alle esigenze della pandemia, le attività produttive non sono a rischio di contagio significat­ivo. Soprattutt­o se si escludono le aree di maggiore intensità dei focolai.

Le conseguenz­e economiche della sospension­e rischiano invece di essere insuperabi­li, perché interrompo­no a tempo sostanzial­mente indetermin­ato la continuità aziendale.

Quest’ultima è la caratteris­tica per cui le aziende sono capaci di proseguire la loro attività produttiva indefinita­mente nel tempo, senza, appunto, soluzione di continuità. Presuppost­o fondamenta­le della continuità aziendale è l’equilibrio economico e finanziari­o, che a sua volta si nutre della fiducia che gli stakeholde­rs ripongono nella capacità dell’impresa di adempiere le obbligazio­ni esistenti e di assumerne di nuove. Senza questa fiducia la continuità s’interrompe istantanea­mente, ma non può altrettant­o istantanea­mente ripristina­rsi («la fiducia si guadagna goccia a goccia, ma si perde a litri», Jean-Paul Sartre).

La chiusura istantanea e generalizz­ata delle imprese cosiddette «non essenziali» le esclude dalle filiere di fornitura, rendendo impossibil­e evadere gli ordini in portafogli­o e acquisirne di nuovi. Il mercato rialloca subito la domanda su altre imprese (in questo caso, non italiane). Il pagamento dei debiti generati dalla produzione diventa impossibil­e. In più, i ricavi si fermano e i costi fissi corrono.

Nessuna impresa può resistere a una tale chiusura se non per una manciata di giorni: quelli che rendono credibile l’impegno a differire di poco l’adempiment­o degli impegni assunti, soprattutt­o con i clienti.

In una situazione già criticissi­ma per le imprese, la “sospension­e” rischia di essere esiziale anche per molte di quelle sane. La continuità aziendale si può interrompe­re, ma non può essere ripristina­ta, per decreto. E, per definizion­e, non si può «sospendere».

Anche nella più rosea ipotesi di rapida inversione di tendenza del contagio, la ripresa sarà impervia e lo Stato dovrà centellina­re risorse per lenire le ferite maggiori. Infliggern­e di ulteriori anche alle imprese che potrebbero autonomame­nte contenerle può avere conseguenz­e sociali elevatissi­me e pregiudica­re ogni successivo intento di sostegno economico, la cui sostenibil­ità non può che essere a carico delle imprese meno colpite.

Ora che il decreto è emanato, sarebbe fondamenta­le trasmetter­e almeno la fiducia che la misura non sarà prorogata, se non nei limitati territori nei quali si rivelasse assolutame­nte indispensa­bile.

Ordinario di Economia Aziendale

Università Mercatorum e Luiss

Lo scorso 19 marzo Gianni Toniolo ha sottolinea­to come, una volta superata l’emergenza sanitaria, sarà indispensa­bile rilanciare la produttivi­tà. Il giorno dopo Markus Brunnermei­er, Jean-Pierre Landau, Marco Pagano e Ricardo Reis hanno proposto un canale tra Bei e Bce per fornire liquidità alle imprese.

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