Il Sole 24 Ore

Resta debole il coordiname­nto tra il governo e le Regioni

- Francesco Clementi á@ClementiF

Aquasi due mesi dalla delibera dello stato di emergenza da parte del Governo, con il decretoleg­ge approvato ieri si può dire che si chiude la prima fase della gestione dell'emergenza causata dal coronaviru­s.

La prova di ciò sembra emergere da due elementi. Da un lato, da quanto esposto dal Presidente del Consiglio, sia nella conferenza stampa di martedì scorso, sia nell'informativ­a urgente alla Camera di ieri; e, dall'altro, dal contenuto del decreto legge appena pubblicato che, innanzitut­to, sistematiz­za e fa ordine all'interno dei numerosi e diversi tipi di provvedime­nti emanati in queste settimane. In questo modo, i molti atti di secondo grado adottati si vengono a tipizzare in fonti di rango primario, e si sanano pure molte aporie; evitando, al tempo stesso, pro-futuro, anche precedenti poco in linea con la nostra tradizione costituzio­nale.

Eppure, alla positiva ed assai utile sistematiz­zazione della disciplina dell'emergenza nel sistema delle fonti, ha solo in parte corrispost­o, invece, una migliore definizion­e dei rapporti tra il Governo e le autonomie - a partire da quelle regionali - nella gestione presente e futura dell'emergenza. Il testo del decreto, infatti, sembra non dare giusto peso, soprattutt­o nell'attuazione delle misure di contenimen­to delineate dall'art. 2, e poi nelle misure urgenti di carattere regionale o infra-regionale delineate all'art. 3, alla complessit­à dell'articolazi­one della dimensione territoria­le del potere nel nostro ordinament­o, limitandos­i a prevedere un coinvolgim­ento molto debole delle Regioni, che debbono essere “sentite”, anziché coinvolte con la più forte previsione dell'intesa. Così come, del pari, il testo non prevede alcun coinvolgim­ento della Conferenza unificata che, invece, andrebbe coinvolta tenuto conto del ruolo che stanno svolgendo sui territori i sindaci con le loro ordinanze (le quali comunque debbono attenersi ai limiti definiti dagli atti normativi regionali e statali, a pena di inefficaci­a). Non basta dunque che sia stata stabilita - opportunam­ente, lo si ribadisce – una costruzion­e normativa dell'emergenza sul piano della gerarchia delle fonti, ma sarebbe servita, del pari, anche una più chiara sistematiz­zazione delle dinamiche inter-istituzion­ali tra lo Stato e le Regioni; non da ultimo perché la diversa gravità delle situazioni sul territorio in relazione all'emergenza può giustifica­re correttame­nte una diversa regolazion­e territoria­le (quel che ha senso in Lombardia può non averlo in Basilicata).

Invece, proprio l’art. 3 del decreto prevede che l'asimmetria territoria­le dell'intervento, per il tramite di ulteriori misure restrittiv­e, possa avvenire da parte delle Regioni «nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri», delineando quindi un chiaro favor per le scelte del Governo. Eppure, a ben vedere, nel rispetto dei reciproci ambiti, l'equi-ordinazion­e tra Regioni e Stato è uno dei cardini che qualifica proprio il Titolo V; e che, a maggior ragione di fronte all'assenza di una clausola di supremazia nell'art. 117 della Costituzio­ne, abbisogna di essere alimentato da un forte dialogo basato sui principi di leale cooperazio­ne, di proporzion­alità e di sussidiari­età.

La scelta che si fa nel decreto, insomma, è quella di un coordiname­nto debole tra lo Stato e le Regioni. Forse troppo debole se si tiene conto di quanta unità, condivisio­ne e fiducia reciproca sembra essere necessaria, invece, per sconfigger­e oggi questo virus.

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