Verso nuovo deficit per 18 miliardi, decreto da 25-30
Il disavanzo ufficiale salirebbe vicino al -4,4% Il Def slitta a fine aprile
Come appena accaduto con il decreto Marzo, anche nel cantiere del prossimo decreto Aprile, il contatore delle somme da muovere si aggiorna in fretta. A indicare le dimensioni potenziali del prossimo provvedimento è stato ieri il premier Conte, che alla Camera ha parlato di un decreto da «almeno 25 miliardi». In pratica, il tentativo è quello di pareggiare la stazza del primo Dl, da cui sono arrivate le misure per l’emergenza più immediata, che il nuovo intervento punta ad affinare e rendere più strutturali. Ma per arrivarci servirà probabilmente altro deficit per almeno 1518 miliardi, aggiungendo quindi al conto del disavanzo una cifra vicina a un altro punto di Pil.
I calcoli sono in pieno corso. E al ministero dell’Economia si studiavano in realtà anche ipotesi un po’ più leggere, nell’ottica di un intervento intorno ai 20 miliardi, divisi più o meno equamente fra deficit e fondi Ue della programmazione 2014/2020 non ancora spesi e di conseguenza liberi per la riprogrammazione. Ma sulla definizione del prossimo decreto si fa sentire la spinta politica di Palazzo Chigi, che vuole mettere in campo una vera e propria manovra di primavera da 25-30 miliardi, e soprattutto quella economica di un sistema delle imprese e dei lavoratori autonomi messo a durissima prova dal blocco delle attività, che si allunga insieme alla crisi sanitaria.
Il pallottoliere dovrà fermarsi in fretta, perché già la prossima settimana dovrebbe arrivare in Parlamento la relazione del Governo per chiedere alle Camere di tornare a correggere la prospettiva dei saldi di finanza pubblica. Ma la complicata ricerca di un equilibrio, che sta impegnando il ministero dell’Economia, si incrocia con due fattori: il calcolo dei fondi Ue davvero liberi nella quota ancora non impegnata dei vecchi programmi, certo, ma soprattutto i connotati di un intervento europeo tutto da definire.
Sul punto, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, che non è digiuno delle alchimie nelle dinamiche europee fin qui messe in discussione solo parzialmente dalla crisi, è stato chiaro. E ha spiegato che il Mes, che oggi apre faglie difficili da controllare all’interno della maggioranza oltre a scatenare l’opposizione di Lega e Fratelli d’Italia, è utile ma non basta. I bond europei sarebbero «una svolta importante», ma sono complicati da raggiungere, come conferma la lettera-appello firmata da Conte e da altri otto leader europei per provare a rompere l’argine nordico. E in quest’ottica le notizie più importanti possono arrivare dalla Bce.
La giornata di ieri ha confermato questo scenario tracciato dal titolare dei conti. E l’ombrello di Francoforte, prima con il Programma straordinario di acquisti (Ppep) e ora con il possibile ingresso delle Omt, offre un appoggio decisivo per la ricerca di liquidità sui mercati. Una ricerca che però non può essere infinita, come ricordato ieri da Bankitalia e Corte dei conti, con i nuovi allarmi sul debito nelle memorie depositate al Senato. Perché il rischio concreto è di trovarsi una situazione troppo complicata da gestire una volta archiviata l’emergenza più stretta.
Anche su questo aspetto i numeri corrono. Con una nuova tornata di deficit vicina al punto di Pil, si porterebbe il saldo al momento “ufficiale” vicino a quota -4,2, -4,4%, senza considerare l’effetto della caduta del Pil prodotta dal blocco dell’attività economica. Da qui occorre aspettarsi un altro 1-2% di deficit/Pil in più, anche se il quadro resta troppo mobile (ieri la scena delle previsioni si è arricchita con il -4,5% indicato da Moody’s) per fermarsi su numeri attendibili. Al punto che a Via XX Settembre è ormai scontato un allungamento dei tempi per il prossimo Def, quest’anno particolarmente atteso perché chiamato a offrire il primo aggiornamento ufficiale sullo stato di salute effettivo dell’economia e ad abbozzare un percorso di rientro su deficit e debito oggi complicato da immaginare: il Documento con il quadro tendenziale dovrebbe farsi attendere fino alla fine del mese, sforando la scadenza fissata al 10 aprile dalla normativa interna. Lo stesso appuntamento europeo, con l’invio alla Commissione entro il 30 aprile, dovrebbe slittare almeno di qualche giorno anche per effetto della «clausola di fuga» dal Patto.