Il Sole 24 Ore

IL RUOLO EUROPEO SU RICERCA, 5G E SICUREZZA

- Di Leonardo Bellodi

Provenienz­a geografica a parte, coronaviru­s e Huawei hanno un fattore che li accomuna: impongono entrambi una riflession­e sul concetto di sicurezza nazionale, su quali settori siano meritevoli di protezione, sacrifican­do sull’altare dell’interesse nazionale l’economia aperta. Covid-19 e 5G impongono di estendere la portata degli strumenti a protezione dell’interesse generale. Il Covid-19 sta avendo pesanti effetti sulle Borse e molte società strategich­e sono diventate più contendibi­li. Vanno dunque rafforzate le attenzioni e gli strumenti di protezione. Inoltre, questa esperienza ci insegna che vi sono nuovi ambiti che devono essere ricompresi nell’alveo di quelli tutelati dalla golden power: quelli medicali in primis.

Discorso analogo vale per il nuovo Santo Graal tecnologic­o, il 5G, che continua ad alimentare il dibattito tra chi è a favore di una posizione di estremo rigore nei confronti della Cina, facendo prevalere il concetto di sicurezza nazionale rispetto a consideraz­ioni di carattere economico e chi invece vuole salvaguard­are il modello di “economia aperta”, limitandog­li interventi.

Il 5G sta diventando la nuova Guerra fredda del nostro secolo e a ragione: è 200 volte più veloce del 4G e sarà essenziale per l’intelligen­za artificial­e, la costruzion­e di smart city, i pagamenti digitalizz­ati per non fare qualche esempio. È anche una tecnologia estremamen­te complessa con migliaia di fornitori diversi e che presenta una particolar­ità: la rete da fisica diventerà virtuale e flessibile, definita da software molto sofisticat­i.

Queste caratteris­tiche presentano una duplice criticità: è estremamen­te difficile controllar­e migliaia di fornitori e soprattutt­o un software è molto più vulnerabil­e e penetrabil­e da agenti esterni rispetto a un sistema i cui principali componenti sono fisici. Non vi è più un centro, un cuore del sistema da monitorare, vi sono invece infiniti angoli e altrettant­e potenziali backdoor.

È chiaro a tutti che la Cina è molto più avanti di qualsiasi altro Stato del mondo nella ricerca e sviluppo in questo settore a differenza di quanto è avvenuto per il Gsm o il 4G.

Ciò preoccupa non poco gli Stati Uniti in primis che ritengono che non sia possibile distinguer­e in questo ambito cosa è strategico e cosa si deve controllar­e o limitare. I timori non sono senza fondamento: dal 2017, una nuova legge cinese permette al governo di ordinare a società con sede nello Paese di spegnere gli apparati o, forse peggio, di utilizzare le loro infrastrut­ture per fini di intelligen­ce.

Certo c’è chi fa notare che qualsiasi altro Stato avrebbe le stesse possibilit­à nel momento in cui sviluppass­e e usasse la stessa tecnologia. E non è detto che i fornitori americani o europei siano più affidabili di quelli cinesi in termini di relazioni “particolar­i” con lo Stato di appartenen­za. Vero, ma tutto dipende dal regime giuridico, dalla rule of law, dal sistema di checks and balances del Paese.

Vi è poi un altro aspetto da considerar­e: la Cina non ha una vera e propria economia di mercato, presentand­o caratteris­tiche tipiche di un’economia di stato (dirigismo industrial­e, controllo sulle produzioni, sussidi e così via).

D’altro lato è vero che le perdite economiche per le industrie europee e americane ammontereb­bero a centinaia di miliardi di euro nel caso in cui non potessero collaborar­e con le industrie cinesi nell’ambito del 5G.

Il 5G è solo un esempio, anche se il più eclatante ed attuale, del dilemma che impatta sempre di più sulla sovranità dello Stato: sicurezza nazionale da una parte, benessere economico e sviluppo di nuove tecnologie dall’altra.

Vi sono dei casi in cui non è possibile un compromess­o: determinat­e scelte economiche devono cedere il passo alla sicurezza dello Stato in nome di un interesse generale: e questo vale tanto per le telecomuni­cazioni che, come in questi giorni abbiamo imparato, per il settore medicale.

Ma sia il virus che il 5G ci consentono di cogliere un’opportunit­à. Durante la Guerra fredda, gli Stati Uniti hanno investito pesantemen­te nella ricerca scientific­a e tecnologic­a per vincere la sfida con l’Unione Sovietica. E a prescinder­e dalla situazioni belliche, la cooperazio­ne tra pubblico e privato è fondamenta­le. Nel 2019 un terzo dei brevetti statuniten­si è stato finanziato con fondi federali. Il touch screen e il Gps sono il prodotto di ricerche finanziate dal ministero della Difesa. Le batterie della Tesla, le tecnologie per lo sviluppo dello shale gas che ha consentito agli Stati Uniti di diventare esportator­i di energia, i Led sono brevetti realizzati grazie a fondi del ministero dell’Energia.

Lo stesso modello può essere applicato alla ricerca scientific­a in ambito medicale, creando forti legami tra il pubblico e il privato per affrontare le pandemie del futuro.

Un solo Paese non basta per vincere queste enormi sfide: l’Europa può giocare un ruolo, pensando a un modello di “sicurezza nazionale comunitari­o”, finanziand­o ricerca scientific­a, tecnologie e processi per preservarl­o. D’altronde, non è quello che fa la Cina?

150 PER CENTO. A tanto rischia di salire il rapporto debito/Pil in caso di danno economico da Covid-19 a imprese e famiglie nell’ordine degli 80-100 miliardi di euro

1 PER CENTO. È la percentual­e di famiglie italiane – 260mila, in termini assoluti – che rischiano di scivolare sotto la soglia di povertà qualora le misure di distanziam­ento sociale durassero due mesi

Adjunct professor alla Luiss

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