AUMENTA IL RISCHIO CONCRETO DELLA POVERTÀ
In due mesi di “quarantena” le famiglie italiane al di sotto della soglia di povertà potrebbero aumentare di circa 260mila unità. Impedendo a milioni di persone di recarsi al lavoro e imponendo la chiusura della quasi totalità delle imprese e degli esercizi commerciali, le misure di distanziamento sociale hanno inevitabilmente un terribile impatto economico (oltre che sociale e psicologico), determinando la drastica riduzione dei flussi di reddito delle famiglie. I più colpiti sono i redditi da lavoro indipendente (liberi professionisti, ristoratori etc.) e quelli dei lavoratori a tempo determinato, ma anche i redditi di molti lavoratori a tempo indeterminato posti in cassa integrazione straordinaria o in congedo straordinario.
Quante sono le famiglie italiane a rischio di povertà? Per quanto tempo il risparmio privato sarà in grado di sostenere i livelli di consumo delle famiglie economicamente più fragili? Il rischio di povertà e la resilienza finanziaria delle famiglie sono distribuiti in maniera uniforme sul territorio nazionale o sono concentrati in alcune aree del Paese?
Per provare a dare una prima (approssimativa) risposta a queste domande, a partire dall’indagine sui bilanci delle famiglie italiane della Banca d’Italia abbiamo calcolato il numero di famiglie che, con il perdurare dello stato di quarantena, si ritroverebbero sotto la soglia di povertà. (Nota: la soglia di povertà è definita, in linea con gli studi Ocse, dal 50% del valore mediano del reddito delle famiglie per adulto equivalente, così da tener conto dei diversi bisogni di minori e adulti nonché delle economie di scala che si realizzano in una famiglia con più componenti).
Dopo due mesi di quarantena le famiglie italiane che potrebbero ritrovarsi sotto la soglia di povertà oscillano dallo 0,4% (circa 100mila famiglie) all’1% (circa 260mila famiglie). Il primo valore è ottenuto ipotizzando un calo di reddito per i lavoratori indipendenti dell’80%, il secondo ipotizzando anche una riduzione del 20% dei redditi da lavoro dipendente.
Il numero di famiglie povere potrebbe aumentare notevolmente con il perdurare dei mesi di quarantena perché molte famiglie attualmente al limite della soglia di povertà non hanno risparmi finanziari (depositi, titoli di stato etc.) sufficienti a fronteggiare un periodo prolungato di riduzione del reddito. Mantenendo le stesse ipotesi sulla riduzione dei flussi di reddito, dopo sei mesi le famiglie italiane che potrebbero ritrovarsi in povertà salirebbero a una cifra compresa tra 180mila (pari allo 0,7% delle famiglie italiane) e 390mila (pari all’1,5%).
La percentuale di nuovi poveri sarà concentrata maggiormente al Centro e al Sud del Paese. Se la crisi dovesse prolungarsi fino al prossimo autunno e la riduzione dei redditi dovesse coinvolgere anche i lavoratori dipendenti, la percentuale di nuove famiglie povere potrebbe superare il 2% al Sud el ’1,5% al Centro, ment renelle regioni del Nord, anche nello scenario peggiore, si rimarrebbe al di sotto dell’1 per cento. Questa differenza tra territori, oltre che dalla quota dei redditi poco al di sopra della soglia di povertà più alta nelle regioni del CentroSud, dipende da due altre ragioni. Da un lato, la scarsa ricchezza finanziaria delle famiglie meridionali rende per loro più concreto il rischio povertà con il prolungarsi della quarantena. Dall’altro, le regioni del Centro sono caratterizzate da una percentuale elevata di piccole imprese familiari e lavoro indipendente fortemente colpiti dalle misure restrittive della mobilità che, se dovessero perdurare, determinerebbero un notevole aumento del numero di famiglie povere.
Le misure di sostegno al reddito dei lavoratori indipendenti e l’estensione della cassa integrazione straordinaria a tutti i lavoratori dipendenti previste dal governo italiano vanno nella giusta direzione (anche se quantitativamente ancora troppo contenute). In particolare, per arginare gli effetti più drammatici sulla povertà, i sostegni finanziari dovrebbero essere maggiormente concentrati in favore delle famiglie monoreddito e con risparmi limitati. Senza dimenticare, però, che in Italia e, soprattutto nelle regioni del Sud, molte famiglie socialmente ed economicamente fragili operano nel sommerso e vivono di lavoro irregolare che al pari, e forse più, delle attività regolari soffrono del rallentamento dell’economia.
Sebbene l’emergenza sanitaria sia l’incontestabile priorità del momento, prevenire l’entrata in povertà delle famiglie italiane deve essere un obiettivo altrettanto immediato in vista del dopo quarantena, perché è dimostrato che uscire dalla povertà è più difficile che entrarci. Professore di Politica economica, ricercatore di Economia politica e professore di Economia politica presso
l’Università di Napoli Federico II