In Svezia lockdown solo volontario e aiuti pari al 9% del Pil
Nessuna chiusura ma invito a responsabilità e smart working. Ampie risorse per sostenere aziende e lavoratori
La Svezia, a differenza della maggior parte dei Paesi europei (e anche dei suoi vicini nordici), è dal mese scorso in una sorta di lockdown volontario: scuole aperte per bambini e ragazzi sotto i 16 anni, negozi e ristoranti aperti, come pure le aziende e le fabbriche che se lo possono permettere, divieto di assembramenti pubblici solo al di sopra delle 50 persone (e inizialmente il limite era addirittura di 500). Ai cittadini lo Stato si limita a dare raccomandazioni: restare a casa ai primi segni di raffreddore o tosse, lavorare in smart working se possibile.
Quando l’Europa è stata investita dall’emergenza coronavirus, nessun Paese era preparato ad affrontare i dilemmi del contenimento dell’epidemia e le ripercussioni economiche. Qualcuno, però, partiva avvantaggiato. Nasce da questo vantaggio - culturale, infrastrutturale ed economico - il “modello svedese”: un approccio alla crisi discusso sul piano epidemiologico, anche se finora il numero di contagiati (poco meno di 5mila) e decessi (239) rimane relativamente contenuto, imponente sul fronte delle risorse messe in campo per sostenere imprese e lavoratori: più del 9% del Pil del Paese scandinavo.
La Svezia, a differenza della maggior parte dei Paesi europei (e anche dei suoi vicini nordici), è dal mese scorso in una sorta di lockdown volontario: scuole aperte per bambini e ragazzi sotto i 16 anni, negozi e ristoranti aperti, come pure le aziende e le fabbriche che se lo possono permettere, divieto di assembramenti pubblici solo al di sopra delle 50 persone (e inizialmente il limite era addirittura di 500). Ai cittadini lo Stato si limita a dare raccomandazioni: restare a casa ai primi segni di raffreddore o tosse, lavorare in smart working se possibile.
Il distanziamento sociale
Misure che fanno affidamento non solo sul senso di responsabilità, individuale e collettivo, ma anche su consolidate caratteristiche socioculturali del Paese che dovrebbero favorire il contenimento del virus: il fatto, per esempio, che oltre il 50% delle famiglie siano composte da single (la percentuale più alta in Europa), oppure la tendenza naturale degli svedesi al distanziamento sociale se è vero, come notano alcuni commentatori, che anche sui mezzi pubblici tendono a non sedersi uno vicino all’altro.
Digitalizzazione e flessibilità
Sul fronte del lavoro, poi, la Svezia sfrutta il livello delle infrastrutture (è seconda nella Ue in base all’indice Desi che misura la digitalizzazione) e l’abitudine alla flessibilità, come conferma Staffan Ingvarsson, ceo della Stockholm Business Region, società che fa capo alla città di Stoccolma e che ha il compito di promuovere la regione della capitale come destinazione di business e turismo: «Avevamo sin dall’inizio la tecnologia della fibra ottica, i computer nelle case e un’accettazione diffusa del lavoro flessibile, perché non è strano, in una giornata ordinaria, vedere uomini e donne lasciare l’ufficio presto per andare a prendere i figli a scuola e continuare poi a lavorare da casa. Questo ha reso più facile la transizione. Così oggi, nelle grandi società dell’IT, quasi il 100% dei dipendenti è in smart working».
L’impatto della crisi
Non tutte le aziende possono ovviamente beneficiarne: restano esclusi, per esempio, settori come il manifatturiero, la ristorazione e l’ospitalità, che infatti registrano i primi, pesanti contraccolpi: stop temporanei alla produzione (è il caso di Volvo), licenziamenti o preavvisi di licenziamento (quasi 37mila in marzo contro i 3.292 del marzo 2019), ristoranti e alberghi in bancarotta (+123% sempre in marzo). «Siamo un Paese piccolo – sottolinea Ingvarsson – molto dipendente dall’export. Perciò, quando si verifica uno stop nella filiera mondiale, le nostre imprese subiscono un forte impatto. Inoltre c’è un’implosione della domanda, che sta colpendo pesantemente hotel e ristoranti. Gli effetti che vediamo sono peggiori della crisi del 2008-2009, almeno a giudicare dalle prime settimane».
Lo «shock combinato per domanda
-4%
e offerta» è confermato dal governo, che prevede per quest’anno una contrazione del Pil del 4% (nel 2009 fu del 4,2%) e un aumento della disoccupazione al 9% (dall’attuale 7%). Anche se stima un rimbalzo del 3,5% nel 2021.
Aiuti fino al 9,2% del Pil
Intanto però corre ai ripari e, già da metà marzo, ha messo in campo misure importanti per attenuare l’impatto su imprese e lavoratori. Nel complesso si tratta di un pacchetto compreso tra i 174 e i 462 miliardi di corone (tra i 17 e i 45 miliardi di dollari), a seconda del livello di utilizzo, ossia tra il 3,5 e il 9,2% del Pil 2019. Il grosso della cifra – fino a 30 miliardi di dollari – è destinato al rinvio da tre mesi a un anno del pagamento di tasse e Iva per le imprese. Ma ci sono anche iniezioni di capitale per le Pmi, garanzie pubbliche fino al 70% dei prestiti bancari e – per i lavoratori - incrementi dei sussidi di disoccupazione (e requisiti per ottenerli meno stringenti), risorse per i congedi a breve termine e per la malattia, fondi pubblici in caso di riduzioni temporanee dell’orario di lavoro (lo Stato si