Il rischio delle recidive tutto da dimostrare
Tra i nodi la durata dell’infezione e la permanenza dell’Rna
È una delle grandi incognite su SarsCoV-2: il virus può dare recidive nel breve periodo? Il tema è tornato pochi giorni fa sotto i riflettori dopo che la Corea del Sud ha riferito che 91 pazienti Covid-19 dichiarati guariti sono risultati di nuovo positivi alla malattia. Ma i casi coreani non sono gli unici. Anche in Cina e in Giappone alcuni pazienti a cui è stata diagnosticata Covid-19 e poi apparentemente guariti sono stati riammessi in ospedale perché risultati ancora positivi al virus. Gli esperti non hanno ancora una risposta chiara su come si comporta il nostro sistema immunitario di fronte a Sars-CoV-2 - cioè se, quando e per quanto tempo si formano gli anticorpi neutralizzanti (quelli che proteggono da un successivo contatto col virus) - ma si basano in parte sulla letteratura scientifica di anni su altri virus, in parte sulla casistica degli ultimi mesi, da quando Covid-19 ha fatto la sua comparsa.
Partiamo dall’esperienza. Con altri coronavirus gli anticorpi prodotti durante l’infezione conferiscono al paziente l’immunità per mesi o addirittura anni. Ora bisogna capire se e come funziona con Covid-19. Ci sono però tre elementi che potrebbero “giustificare” una reinfezione.
Il primo contempla la durata dell’infezione. Ci sono oggi evidenze che in alcuni pazienti il virus resta attivo per un periodo più lungo di tempo. Quindi, pur con molte incertezze, secondo gli esperti è probabile che le segnalazioni di pazienti guariti, e poi risultati ancora positivi, non erano esempi di reinfezione, ma casi in cui l’infezione persistente non è stata rilevata dai test. In genere, l’organismo sviluppa gli anticorpi circa 7-10 giorni dopo il contatto con un virus. Di conseguenza, è improbabile che i pazienti guariti da Covid-19 possano essersi reinfettati così velocemente un’altra volta.
Quindi, il problema potrebbe essere legato alla qualità dei test e ai cosiddetti falsi negativi. «Tamponi positivi dopo la guarigione starebbero a significare solamente che test non particolarmente sensibili hanno prodotto un falso negativo e che in realtà il paziente è ancora infetto», ha spiegato David Hui, un esperto di medicina respiratoria dell’Università cinese di Hong Kong che ha anche studiato lo scoppio della Sars nel 2002-2003.
Secondo aspetto. Un test positivo dopo la guarigione «potrebbe anche rilevare l’Rna virale residuo che rimane nel corpo, che però è in quantità tali da non causare la malattia continua Hui -. L’Rna virale può durare a lungo anche dopo che il virus è stato bloccato».
Infine, è passato troppo poco tempo al fine di stabilire se una volta guariti da Covid-19 si sviluppa immunità e per quanto tempo. Tuttavia, studi preliminari forniscono alcuni indizi. Un altro studio cinese (non ancora sottoposto a peer review) sulle scimmie Rhesus ha mostrato che gli anticorpi hanno impedito ai primati guariti da Covid-19 di essere nuovamente infettati una volta esposti al virus. Presumibilmente in futuro - secondo gli scienziati - le persone più giovani e più sane genereranno una risposta anticorpale più solida, che offrirà loro una maggiore protezione contro il virus. E in assenza di ulteriori dati, i ricercatori hanno esaminato ciò che si conosce sugli altri membri della famiglia dei coronavirus. Ricercatori taiwanesi hanno messo in luce che nel 2003 i sopravvissuti alla Sars hanno sviluppato anticorpi che sono durati fino a tre anni, mentre in coloro che sono guariti dalla Mers (sindrome respiratoria del Medio Oriente causata da un virus correlato a quello che causa Covid-19) sono stati trovati anticorpi per circa un anno.
È passato troppo poco tempo per stabilire se una volta guariti da Covid-19 si sviluppa immunità e per quanto